Le facce e i culi

Con pannelliana schiettezza Roberto Giachetti ha apostrofato il galletto irrequieto del pollaio della sinistra dem, dicendo a Roberto Speranza ed ai suoi amici ciò che molti pensano e nessuno ha il coraggio di dire: «Hai (avete) la faccia come un culo”.Si parlava, all’assemblea del Pd, di riforma elettorale, con la proposta di Renzi di ripartire nel dibattito parlamentare dal cosiddetto “Mattarellum”, un virtuoso mix di sistema maggioritario e proporzionale, già sperimentato e che aveva dato risultati non disprezzabili. La sinistra interna si è detta d’accordo, ma Giachetti non si è potuto trattenere e, in modo più colorito che scurrile, ha rammentato l’atteggiamento dell’allora capo-gruppo alla Camera contrario al Mattarellum: alla faccia della coerenza.Penso che Giachetti abbia colto la ghiotta occasione per sciacquarsi la bocca. Il vero affondo politico l’ha fatto però bollando come inaccettabile l’atteggiamento di chi, aderente alla sinistra dem, concede al governo Gentiloni una fiducia con la condizionale, tutta da verificare valutando i singoli provvedimenti: un comportamento che configura di fatto una scissione tra un partito che appoggia Gentiloni e un partito che lo giudicherà strada facendo.Tutto sommato direi che ha fatto bene, anche se ha rischiato di rovinare quel minimo di dialogo avviato all’interno del partito, ma la verità non dovrebbe offendere e quindi…Tornando alla legge elettorale, bisogna ammettere che è, per tutte le parti politiche, la ghiotta occasione per tirare l’acqua al proprio mulino e su di essa quindi si scatenano le più bieche partigianerie ed incoerenze.Proviamo a passarle in rassegna.Cominciamo dallo sfilacciato e divaricato centro-destra: sono gli autori del cosiddetto “Porcellum”, una porcheria cucinata solo ed esclusivamente al fine di rendere impossibile la vittoria dell’avversario, creando i presupposti per l’ingovernabilità e la disarmonia fra i due rami del parlamento. Dovrebbero starsene zitti, invece pontificano: gli uni (forzitalioti) alla ricerca di un proporzionale che li rimetta miracolosamente ed autonomamente in gioco, che li difenda dal comportamento di Salvini ben più ostile di quello di Bollorè; gli altri (leghisti) in corsa verso le elezioni purchessia, convinti di incassare il loro frettoloso dividendo populista con l’esposizione dell’album di famiglia in cui Trump, Putin e Le Pen hanno preso il posto di Bossi, Miglio e Pivetti; gli altri ancora (fratelli d’Italia) tornati nelle loro fogne nazionaliste da cui pensano di avere ancora qualcosa da vomitare; da ultimi abbiamo i riposizionati (Ncd e Udc), Alfano e c., teneramente preoccupati di difendere il loro modesto gruzzolo elettorale a prova di soglia e ancor più a prova di premio di maggioranza.Andiamo al secondo polo: il movimento cinque stelle. Chi ci capisce qualcosa è bravo. Il tanto bistrattato Italicum li avrebbe favoriti, ma loro, pur di dare un senso al no preconcetto e totale, proponevano strumentalmente un ritorno al proporzionale puro. Ora che il proporzionale sta riprendendo quota, sarebbero disposti ad andare alle urne con l’Italicum sia alla Camera che al Senato. Forse hanno capito in ritardo che a loro converrebbe: l’importante comunque, anche per i grillini, è votare al più presto per incassare l’altro sostanzioso dividendo dell’antipolitica (Raggi permettendo).L’extra-sinistra non la prendo in considerazione perché tra diverse sigle, partiti, partitini, gruppi, gruppetti, non riesco a cogliere uno scampolo di strategia e nemmeno di tattica che vadano al di là dell’antirenzismo viscerale.Arriviamo al Pd e al suo sbandamento post-referendario: Renzi, come al solito, accetta il rischio di fare la prima mossa all’interno del suo partito e nei confronti degli altri partiti. Il tatticismo non è il suo mestiere, anche se rischia il tatticismo dell’antitatticismo. Abbandonato l’Italicum, un abito cucito addosso ad un sistema istituzionale uscito straperdente dal referendum, prima di andare dal sarto ha aperto l’armadio e ha notato che c’è un altro abito (il Mattarellum) ancora in discreto stato e che non è totalmente passato di moda: vale la pena provare a renderlo utilizzabile previa qualche piccola modifica, senza aspettare la sartoria della Corte costituzionale da cui si rischia di uscire con gli abiti ridotti a brandelli (vedi consultellum e probabile italichellum).La sinistra dem, contraria all’italicum, dietro cui ha nascosto la mano che tirava il sasso alla riforma costituzionale, dietro cui, a sua volta, si nascondevano le mani che tiravano i sassi a Renzi, dovrebbe accogliere benevolmente il ritorno al mattarellum anche se lo aveva frettolosamente relegato nell’armadio della soffitta: Giachetti lo ha ricordato e loro si sono incazzati, perché sono costretti a togliere le mani dal nascondiglio dopo averle usate a brindare vigliaccamente alla sconfitta del loro partito.Così solo per il momento (ne vedremo delle belle…) si chiude il cerchio della grande discussione sulla legge elettorale, ma non si chiude il discorso delle facce da culo nella politica italiana.Matteo Renzi sul referendum ha messo la propria faccia e forse l’ha persa: meglio perderla che conservarla a forma di culo.A Roberto Giachetti il merito di avercelo ricordato: grazie!Marra, Morra, Murra e…MuraroIn uno spettacolo di rivista periferico di quarant’anni fa il comico di turno racconta la barzelletta sui politici, giocata su alcuni nomi piuttosto imbarazzanti: Piccoli, Storti e Malfatti. Dal fondo della sala si sente un grido di commento: «Sì e Finocchiaro dove lo mettiamo?». Era, se non erro, l’allora esponente socialdemocratico Beniamino Finocchiaro, presidente della Rai, che non c’entrava proprio niente con gli altri tre nomi giocati sul doppio senso irridente, se non per un cognome piuttosto originale che allora, in pieno clima omofono, poteva suonare oltremodo ridicolo.Oggi la politica ha un suo strano tris di nomi scioglilingua provenienti dalle vicende grilline in Campidoglio: Marra, Morra, Murra. Sì e Muraro dove la mettiamo?Raffaele Marra è l’uomo forte di Virginia Raggi, capace di rimanere a galla da un’amministrazione comunale all’altra (Alemanno, Marino, Raggi), difendendo il proprio potere burocratico, ottenendo, almeno sembra, qualche “regalino” di troppo dai palazzinari e costruendo un suo piccolo impero economico le cui propaggini famigliari arriverebbero fino all’isola di Malta (il fratello Renato promosso a responsabile del servizio turistico, l’altro fratello Catello strano faccendiere in quel di La Valletta). Questo signore sarebbe riuscito ad infiltrarsi nella nascente ondata pentastellare capitolina, ad incantare Virginia Raggi nel cui gruppo ristretto sarebbe entrato a pieno titolo, ad abbindolare Luigi di Maio durante le sue omertose peregrinazioni tra Camera dei Deputati e Campidoglio, a resistere agli sconclusionati attacchi del direttorio del movimento, a tenere in scacco Beppe Grillo, a passare con estrema disinvoltura da vice-capo gabinetto del sindaco a capo del personale, a far fuori un capo di gabinetto facendosi blindare dalla sindaca di cui si diceva fosse diventato il braccio destro. C’è voluta un’entrata a gamba tesa della Procura della Repubblica per retrocederlo a comune mortale e ad impiegato semplice, facendolo rientrare nelle truppe dell’esercito comunale dei 23mila dipendenti (la sindaca, autopromossa a novella Cornelia, poteva risparmiare a se stessa, a Marra, ai cittadini di Roma e a tutti, la penosa battuta: “il mio braccio destro è il popolo romano…”).Nicola Morra è un senatore grillino che, dopo l’arresto di Marra, ha onestamente ammesso che il movimento non poteva far finta di niente e che chi rigorosamente esige onestà e pulizia dagli altri, deve dare il buon esempio. Mi piacerebbe risentirlo dopo che la vicenda ha preso una piega da presa in giro nel tira e molla scandaloso del “fatti più in là”, con la sindaca che non molla e reagisce colpo su colpo, con un valzer di poltrone che dura da sei mesi, con Grillo che sta a guardare la sfida tra il comune di Roma e l’azienda Casaleggio (proprio ai funerali di Gianroberto Casaleggio fu coniato il grido “onesta!, onestà!) e si fa dettare l’agenda dal guru-figlio Davide che ha preso il posto del guru padre (Berlusconi sta a Gonfalonieri come Grillo sta a Casaleggio). Cosa ne dice il senatore Morra di questa pantomima?Poi abbiamo Rodolfo Murra, un galantuomo e profondo conoscitore della macchina amministrativa comunale romana quale capo dell’Avvocatura capitolina: la Raggi, come scrive Carlo Bonini su la Repubblica, a difesa del suo cerchio magico decise di rompere con lui, con il più stimato e riconoscibile dei suoi assessori (Minenna al Bilancio) e con un competente e qualificato capo di gabinetto (Carla Raineri). Restano veramente tutti da scoprire i motivi di questo “innamoramento politico” della Raggi verso personaggi piuttosto opachi o addirittura squallidi (Daniele Frongia, Salvatore Romeo, Raffaele Marra, Paola Muraro): solo ingenuità e buona fede? Evidentemente esisteva ed esiste, come minimo, un clima poco pulito all’interno e all’esterno della macchina amministrativa romana, fatto di protezioni, clientele, scambi di piaceri etc. a cui i cinque stelle si sono adeguati senza fiatare. Vedo grandi responsabilità politiche. Per gli aspetti legali mi rimetto alla magistratura anche se la sua azione non finisce di crearmi dubbi e perplessità visti nei giorni passati.“Sì e la Muraro dove la mettiamo?”, chiederebbe quel tale dal fondo della sala. Questa volta la domanda sarebbe pertinente.