Il mal di voucher

Il dibattito politico di fine anno 2016 è all’insegna della demagogia: tre i punti d’attacco, la demonizzazione dei voucher, l’elogio della povertà, le banche da salvare, tre aspetti della solita menata di chi gioca a fare l’anticapitalista in un sistema capitalista.Maurizio Landini, battagliero leader della Fiom, grida allo sfruttamento dei lavoratori che avverrebbe tramite l’utilizzo dei voucher. Sul piano della previsione normativa i voucher sono strumenti atti a dare copertura legale ed assicurativa a rapporti di lavoro, che per la loro provvisorietà, frammentarietà e brevità, non potrebbero avere un riconoscimento contrattuale vero e proprio e che quindi, in mancanza di questo strumento, rischierebbero di rimanere a livello di lavoro nero. Tutto qui. Se esistono abusi, così come purtroppo esistono in tutte le fattispecie di contratto, vanno perseguiti e puniti adeguatamente. Se la norma presenta qualche elemento di ambiguità e/o di genericità, va risistemata e puntualizzata. Tutto qui.Sinceramente non vede lo sfruttamento del proletariato o del precariato. Vedo un tentativo di adeguare i rapporti di lavoro ad un mercato che per sbloccarsi ha da una parte bisogno di investimenti pubblici e privati, dall’altra di certezza, semplicità e chiarezza procedurale e burocratica, dall’altro ancora di flessibilità.Si scontrano sostanzialmente due modi di intendere una politica di sinistra: demonizzare le esigenze delle imprese (discorso di cui sopra), riportandole alla mera volontà di speculare sul lavoro, mettendo argini ad un fiume in secca; cercare di fare scendere a valle l’acqua dalle sorgenti per renderla utilizzabile correndo qualche rischio di inquinamento o di deviazione. Il sindacato, non tutto ma in gran parte, tende a difendere i virtuali diritti di chi non ha la possibilità di accedere al diritto di base, quello di poter lavorare. Se un disoccupato trova l’opportunità di lavorare alla luce del sole per dieci giorni con tanto di voucher, perché gli dobbiamo togliere questa possibilità buttandolo nel lavoro nero o addirittura facendo rientrare in qualche modo quella modesta ma aggiuntiva domanda di lavoro nei rapporti già in essere, magari a vantaggio di chi ha già un’occupazione. A chi può nutrirsi solo di un pezzo di pane, non regaliamo una diatriba sulla necessità di fare pasti completi ed equilibrati!Beppe Grillo invece fa l’elogio della follia pauperista facendo gli auguri di Natale con un breve testo di Goffredo Parise: «Noi non consumiamo soltanto in modo ossessivo: noi ci comportiamo come degli affamati nevrotici che si gettano sul cibo in modo nauseante». Se Grillo vuole rubare il mestiere a papa Francesco sarebbe consigliabile che, prima di pontificare, facesse qualche approfondimento e magari andasse a rileggere quanto diceva papa Giovanni XXIII a proposito dell’assurdità di proporre la dottrina cristiana a chi non ha niente da mangiare (prima bisogna sfamarlo e poi se ne potrà parlare…). Se per caso vuole fare rientrare dalla finestra le ideologie finalmente uscite dalla porta, devo ammettere che fra Grillo e Marx preferisco Marx, pur considerando i tremendi disastri che il comunismo ha combinato e che stiamo ancora scontando. A sconfiggere il capitalismo non c’è riuscito Marx o meglio i rivoluzionari che a lui facevano riferimento, immaginiamoci, pur con tutto il rispetto, se ci potrà riuscire Grillo… Se il comico miliardario vuole parlare ai ricchi come lui, per rendersi credibile dovrebbe donare tutto ai poveri e poi potrà fustigare i nevrotici del cibo. Al riguardo ritengo assai più credibile madre Teresa di Calcutta.Poi arrivano i giustizieri da salotto, quelli che si scandalizzano per i miliardari salvataggi bancari paragonati agli scarsi fondi per la lotta alla povertà. A parte il fatto che non si possono mettere a confronto fondi investiti in una banca (che non dovrebbero essere a fondo perduto) coi sostegni a chi si trova in povertà assoluta (oneri sociali a carico del bilancio statale), resta il problema di un sistema in cui le banche, come tutte le imprese, possono andare in fallimento e lo Stato deve valutare se intervenire per salvarle e per evitare ripercussioni sistemiche o se lasciar fare, lasciar passare…Bisognava controllare prima? Certamente! E allora? Quando molte banche erano sotto il controllo della politica rappresentavano l’orto clientelare dei partiti. Oggi è rimasto l’orto clientelare affidato ai manager che ne combinano di tutti i colori. I politici almeno ogni cinque anni (anche meno) rispondevano (?) all’elettorato; i manager fanno come i campioni di calcio, i quali, se la squadra retrocede, trovano subito da giocare in un’altra disposta a pagarli anche di più. È il capitalismo! Un sistema migliore non esiste. Perfettamente inutile rituffarsi nel mare delle ideologie. Molto meglio provare con tanta pazienza a migliorare il sistema senza furbizie dialettiche e senza demagogia. Qualcuno dirà che sono diventato un uomo di destra. Di subire simili sommarie squalifiche è successo a personaggi ben più importanti di me. Successe prima ai socialisti ad opera dei comunisti, poi venne il turno dei comunisti (revisionisti berlingueriani) ad opera dei brigatisti. Non sono mai stato né socialista, né comunista. Lasciamo stare le ideologie e puntiamo sulle idee.Durante il periodo in cui prestavo servizio volontario in una cooperativa sociale, mi capitava quasi tutti i giorni di andare in banca per depositare gli striminziti incassi. Incontravo spesso un caro e simpatico amico che, vedendomi bazzicare un po’ troppo nei pressi degli istituti di credito, si preoccupò e trovò il coraggio di chiedermi in un dialetto molto stretto ed eloquente: «Mora, cò sit dvintè un capitalista?».