La miglior difesa è la condivisione

Tutti i giorni i media ci riportano testimonianze rientranti nel discorso della resistenza ucraina verso il russo invasore. Si tratta di comportamenti toccanti e provocanti: l’importanza della libertà si scopre purtroppo quando si rischia di perderla. Pur con tutti i difetti e le incongruenze del nostro sistema democratico, dobbiamo ammettere di avere fatto l’abitudine alla libertà, anche se su tale concetto ci sarebbe molto da discutere. Non è il caso comunque di sottilizzare, ma solo di riflettere.

Abbiamo molto da imparare dagli ucraini e dalla loro forza d’animo, senza indulgere alla retorica e soprattutto senza rinunciare all’analisi politica sulle cause remote e prossime di questo disastro bellico e senza farsi trascinare nel gorgo della violenza difensiva, ma al contrario puntando alla diplomazia fattiva. Sarebbe giusto e opportuno intervenire militarmente in difesa dell’indipendenza ucraina? È la domanda che più o meno tutti ci facciamo. La difesa del debole è indubbiamente un principio umanamente irrinunciabile.

Ricordo con grande commozione un episodio della mia vita scolastica. Il mio indimenticabile compagno di banco era paziente e bravo, ma una volta successe un fatto particolare di stampo deamicisiano, che lo vide “grande” protagonista. In classe c’era un ragazzo molto buono e simpatico, un po’ infantile, che con il suo comportamento suscitava a volte una certa ilarità e si prestava a qualche presa in giro. Fin qui niente di grave, se non che questa situazione divenne preludio per un maldestro tentativo di bullismo morale. Un giorno infatti un altro compagno si rivolse a lui con una espressione a dir poco offensiva, stomachevole e inaccettabile da tutti i punti di vista. Il mio compagno di banco di cui sopra, piuttosto prestante dal punto di vista fisico e leale sul piano umano, non si fece scrupolo, ne prese le difese, ebbe il coraggio di insorgere platealmente, chiedendo al prepotente di ripetere l’offesa: «Dil a mi!», continuava a ripetere provocatoriamente. «Guarda c’ag stag a ruvinerom…» aggiunse. C’era in effetti da scatenare un putiferio a livello disciplinare, qualora si fosse arrivati allo scontro fisico. Ad un certo punto arrivò un altro compagno di classe in vena di fare da paciere e venne bruscamente allontanato dalla discussione. Era il momento delle maniere forti, che funzionarono: il bullo di turno arrivò persino a chiedere scusa. Il paciere mancato ammise la giustezza dell’atteggiamento duro. Episodi di quel genere, nella mia classe, non se ne verificarono più. Merito anche e soprattutto di chi aveva avuto il coraggio di affrontare la situazione a brutto muso.

A volte ad intervenire in difesa del più debole ci si rimette il cotto e il crudo, ciò non toglie che sia giusto, oserei dire doveroso. La difesa però non deve essere guidata solo dall’istinto, ma deve essere anche ragionata, contestualizzata e soprattutto impostata in modo da non creare più danni che benefici, immediatamente e nel tempo.

Un intervento militare a sostegno dell’Ucraina cosa comporterebbe? Facile da immaginare. Occorre quindi molta prudenza, difficile da coniugare con la generosità. Si parla di una forte iniziativa diplomatica che contribuisca a risolvere l’intricata e tragica situazione: le armi della diplomazia sono più potenti di quelle militari. La generosità c’è modo di esercitarla con aiuti e sostegni economici, con l’accoglienza dei profughi, con tanta disponibilità alla collaborazione.

Lasciamoci interpellare in profondità dall’eroismo libertario ucraino: vale per le persone e per gli Stati. La lezione deve servire. Quante volte lo abbiamo detto! Davanti agli orrori di una guerra, forse la più assurda, in quanto totalmente priva di un vero e proprio “casus belli”, non si può restare indifferenti, non bisogna fare l’abitudine, anche se la (a)normalità della guerra comporta morte, distruzione fisica e morale, sofferenze immani, lutti, rovine: occorre reagire positivamente non facendosi trascinare nel vortice bellico.

Lo dobbiamo capire tutti, per gli ucraini sarà più difficile: chiedere pazienza a chi ha le bombe sulla testa sembra quasi una presa in giro. Si può solo a condizione di saper condividere le sofferenze e praticare la solidarietà. Come minimo dovremmo capire l’importanza della democrazia, ringraziando gli ucraini per avercelo ricordato.

D’altra parte non sarebbe peggio attestarsi sui principi impostando una difesa belligerante, facendone pagare il prezzo al più debole, mettendosi a posto la coscienza sulla pelle degli ucraini e di chi soffrirà i futuri sviluppi di una coesistenza violenta al limite della distruzione reciproca. Come minimo si tratterebbe di un eccesso colposo in legittima difesa, che è pur sempre un reato. Molto meglio mettersi una mano sul cuore, una sul portafoglio e una, stretta a pugno, sul tavolo di una trattativa.