Alla paziente ricerca dell’insoddisfazione equilibrata

Il pericolo esiziale che corrono i sistemi democratici è quello del formarsi e instaurarsi del cosiddetto “pensiero unico”: fin tanto che si discute di piccoli problemi ci si scontra magari faziosamente, quando si arriva al dunque dei massimi sistemi scatta il dominio di una teoria, che chiude ogni spazio di discussione e differenziazione.

È successo con la emergenza pandemica: la soluzione del problema era la “vaccinazione” e intorno ad essa si è impostata una (non) strategia; chi dissentiva era un terrorista; chi provava ad argomentare a contrariis era considerato un demente o un fascista. Il tempo sta dimostrando che le cose stavano diversamente, ma il pensiero unico vaccinale tiene: tutti i dati e i risultati positivi ottenuti sono merito del vaccino, tutti i dati e i risultati negativi trovano la loro causa in chi non si è vaccinato. Nessuno può intervistare chi è morto di covid dopo essersi sottoposto nei tempi prescritti alla vaccinazione: se potesse parlare gli farebbero dire che è colpa dei suoi concittadini non vaccinati, i quali hanno reso talmente forte e resistente il virus da rendere soccombenti i suoi anticorpi fino al punto da trovarsi indifeso. Nella migliore delle ipotesi si riconosce che forse qualche vaccinato è morto, niente però in confronto a quanto successo ai non vaccinati. Se il cerchio non quadra lo si fa quadrare.

Sta succedendo con la emergenza della guerra in Ucraina: l’unica e totale responsabilità di questa tragedia è di Vladimir Putin, il resto è fuffa pacifista, che distrae dall’obiettivo fondamentale di rispondere alla guerra solo ed esclusivamente con una logica di guerra (sanzioni economiche, invio di armi, ritorsioni militari, etc. etc.). Guai a chi osa mettere in discussione gli errori dell’Occidente e della Nato: non è questo il momento dei distinguo, bisogna rispondere con la forza, meglio ironizzare sulla diplomazia, lasciare perdere le autocritiche e andare al sodo, scuotere il capo di fronte a chi ricorda che la guerra non è una forma di politica, ma il fallimento della politica stessa.

Non si presta attenzione all’unica autorevole voce capace di una mediazione pacifica, il Vaticano: solo un “comunista” come Fausto Bertinotti ha il coraggio di auspicare una strategia diplomatica di pace, che metta intorno a un tavolo tutte le nazioni interessate per una paziente opera di ricucitura dei rapporti internazionali.

Non si prende in considerazione nemmeno Henry A. Kissinger, che nel lontano 2014 ipotizzava lucidamente l’Ucraina quale ponte tra Est e Ovest: un vecchio arnese diplomatico da scartare. Non era certamente un visionario pacifista, non era un comunista convertito alla democrazia, non era oltre tutto una voce solitaria nel panorama diplomatico.  Un diversivo pseudo-culturale da ignorare.

Cosa scriveva Kissinger, ex Segretario di stato americano. Provo a riportare alcuni passaggi integrali del suo pensiero, traendoli dal quotidiano “La Repubblica” che pubblicò un suo articolo, recentemente ripreso da “Il fatto quotidiano”. “Troppo spesso la questione ucraina viene vista come una resa dei conti, la scelta tra Este e Ovest. Ma se l’Ucraina vuole sopravvivere e prosperare non deve diventare l’avamposto di una parte contro l’altra, ma fare da ponte tre le due. La Russia deve ammettere che il tentativo di costringere l’Ucraina a diventare uno stato satellite, spostando nuovamente i confini russi, condannerebbe Mosca a rivivere cicli fini a se stessi di pressioni reciproche nei rapporti con l’Europa e gli Usa. L’Occidente deve capire che per la Russia l’Ucraina non potrà mai essere un Paese straniero. (…) Dovremmo puntare alla riconciliazione, non al predominio di una fazione sull’altra. Né la Russia né l’Occidente, e tantomeno le vari fazioni Ucraine, hanno agito sulla base di questo principio. Tutti hanno peggiorato la situazione. La Russia non sarà in grado di imporre una soluzione militare se non isolandosi, quando molti dei suoi confini sono già precari. Per l’Occidente la demonizzazione di Vladimir Putin non è una politica, bensì un alibi per l’assenza di quest’ultima.  Putin dovrebbe rendersi conto che, qualunque siano le sue istanze, una politica di imposizioni militari porterebbe ad una nuova guerra fredda. Da parte loro gli Usa devono evitare di considerare la Russia un Paese anormale a cui insegnare pazientemente le regole di condotta stabilite da Washington. (…) Questo è a mio giudizio l’esito compatibile con i valori e gli interessi di sicurezza di tutte le parti: (1) L’Ucraina dovrebbe avere il diritto di scegliere liberamente le proprie associazioni economiche e politiche, incluse quelle con l’Europa. (2) L’Ucraina non dovrebbe aderire alla Nato, come da me sostenuto sette anni fa quando se ne pose l’ultima volta l’ipotesi. (3) L’Ucraina dovrebbe essere libera di dar vita a qualunque governo sia compatibile con la volontà espressa dal popolo. Sarebbe saggio da parte dei leader ucraini optare per una politica di riconciliazione tra le varie componenti del Paese. A livello internazionale dovrebbe puntare ad una posizione paragonabile a quella della Finlandia, che non lascia dubbi circa la propria accanita indipendenza e coopera con l’Occidente nella maggior parte degli ambiti, ma evita accuratamente ogni ostilità istituzionale nei confronti della Russia.  (4) L’annessione della Crimea da parte della Russia è incompatibile con le regole dell’ordine mondiale esistente. Ma dovrebbe essere possibile porre il rapporto tra Crimea e Ucraina su una base di minor tensione. A tal fine la Russia riconoscerà la sovranità Ucraina sulla Crimea. L’Ucraina dovrebbe rafforzare l’autonomia della Crimea in elezioni tenute in presenza di osservatori internazionali. Sarà necessaria nel processo l’eliminazione di ogni ambiguità circa la posizione della Flotta del Mar Nero a Sebastopoli”. Henry Kissinger conclude: “Si tratta di principi, non di precetti. Chi conosce la regione saprà che non tutti saranno appetibili per tutte le parti. Il criterio non è la soddisfazione assoluta ma l’insoddisfazione equilibrata. Se non si giunge ad una soluzione fondata su questi elementi o su altri paragonabili, si andrà più rapidamente verso il conflitto. Il momento arriverà fin troppo presto”.

È una lezione di diplomazia, che dovrebbe servirci ad allontanare ogni velleitaria e sbrigativa semplificazione del discorso guerra-pace in Ucraina e in tutte le parti del mondo. Nessuno ha la verità in tasca, il pensiero unico è sbagliato e fuorviante. Discutere serve sempre e comunque anche e soprattutto per salvare vite umane.