Zelensky ha salutato gli ucraini alla vigilia di Natale, affermando che, “nonostante tutte le sofferenze che ha portate”, la Russia non è in grado di “occupare” ciò che più conta: l’unità dell’Ucraina.
Zelensky si è anche augurato la morte di Putin, senza chiamare esplicitamente il presidente russo per nome, definendola un “sogno condiviso” degli ucraini.
“Celebriamo il Natale in un momento difficile. Purtroppo, non tutti siamo a casa stasera. Purtroppo, non tutti hanno ancora una casa. E purtroppo, non tutti sono con noi stasera. Ma nonostante tutte le sofferenze portate dalla Russia, non è in grado di occupare o bombardare ciò che più conta. Questo è il nostro cuore ucraino, la nostra fiducia reciproca e la nostra unità”, ha detto Zelensky. “Oggi condividiamo tutti un sogno. Ed esprimiamo un desiderio, per tutti noi. ‘Che muoia’, ognuno di noi potrebbe pensare tra sé e sé. Ma quando ci rivolgiamo a Dio, ovviamente, chiediamo qualcosa di più grande. Chiediamo la pace per l’Ucraina. Lottiamo per essa. E preghiamo per essa. E la meritiamo”, ha detto Zelensky nel suo discorso per la vigilia. Nel suo discorso, Zelensky ha anche affermato che in questo momento gli ucraini pregano per tutti coloro che sono in prima linea: che tornino vivi. Per tutti coloro che sono prigionieri: che tornino a casa. Per tutti i nostri eroi caduti che hanno difeso l’Ucraina a costo della loro vita. Per tutti coloro che la Russia ha costretto all’occupazione e alla fuga. Per coloro che stanno lottando ma non hanno perso l’Ucraina dentro di sé, e quindi l’Ucraina non li perderà mai”. (ANSA.it)
La guerra è sporca! È talmente sporca da imbrattare anche il Natale. Il messaggio augurale di Zelensky porta in sé la patriottica sofferenza di un popolo e il nobile auspicio per una pace giusta. Peccato per quella grave stonatura dal sen fuggita: la morte non si augura a nessuno, nemmeno al più feroce dei nemici.
“Parole dal sen fuggite” si riferisce alla celebre frase di Pietro Metastasio: “Voce dal sen fuggita poi richiamar non vale; non si trattien lo strale quando dall’arco uscì”, che significa che una parola detta (o un’azione fatta) non può essere ritirata o annullata, proprio come una freccia scoccata da un arco non può tornare indietro, sottolineando l’importanza di pensare prima di parlare e agire. Il concetto è antico, ripreso da un proverbio latino di Orazio: «Nescit vox missa reverti» (la parola detta non sa tornare indietro).
Andiamo oltre l’umana saggezza col Natale in cui Gesù irrompe nel mondo. Non dimentichiamo, come dice Roberto Benigni, che ha fatto della sua vita un capolavoro d’amore. È riuscito ad amare come nessuno prima di lui. Ed è impressionante la grandezza, l’estensione di questo suo amore. Lo ha allargato, lo ha portato così avanti che di più non si può. Come se avesse detto: «Voglio vedere fin dove posso arrivare: di più, di più!». Fino ad amare lo straniero, lo sconosciuto, il diverso…fino ad amare il nemico! Ecco: «Ama il tuo nemico» è forse la frase più sconvolgente mai pronunciata sulla faccia della Terra. Forse è la parola più forte, più alta di tutto il pensiero umano, e per questo ci sembra irraggiungibile: se ne sta lassù, è troppo alta, non ce la facciamo. Però qualcuno l’ha detta, per sempre!
E allora consiglio a Zelensky e al popolo ucraino di non augurarsi la morte di Putin, ma di pregare così: “Signore, fa’ che, per amor tuo, amiamo veramente i nemici”. E poi, parliamoci chiaro: dove portano l’odio e la vendetta? Non è forse la ricetta di Gesù l’unica efficace arma per la pace? Amare i nemici non è una paradossale virtù, ma addirittura una necessità…
Anche volendo volare negli artistici “bassifondi della diplomazia”, come ci si può sedere ad un tavolo di trattativa col nemico dopo avere augurato al suo capo la morte? Caso mai, se proprio non resistiamo all’impulso negativo, almeno non dichiariamolo pubblicamente, limitiamoci a pensarlo…
