Il folle volo e il sensato atterraggio

La pazza ma sempre più concreta ed inesorabile strategia trumpiana mira a sconvolgere i pur discutibili equilibri democratici, puntando decisamente al consolidamento e addirittura all’istituzionalizzazione degli squilibri antidemocratici: la jungla internazionale basata sulla legge del più forte imposta dall’alto e subita con rassegnazione dal basso.

Questa strategia coinvolge la Russia di Putin, entro certi limiti la Cina di Xi Jinping, a pieno titolo l’Israele di Netanyahu e più o meno occasionalmente i regimi autocratici sparsi per il mondo.

L’Europa per storia, cultura e assetto geopolitico presenta una complessità che mal si combina con la suddetta strategia. Ecco il perché di tanta subdola ostilità nei suoi confronti: la questione Nato è solo un pretesto (addirittura un ricatto) per mettere con le spalle al muro l’Europa, facendo leva sulla sua problematica autonoma capacità difensiva.

Naturalmente c’è chi casca, più o meno in buona fede, nel tranello. È il caso del ministro della difesa Crosetto, non certo il peggior virgulto dell’attuale governo italiano, che si rifugia nelle acrobazie internazionali non capendo che la posta in palio è ben diversa e più profonda di un aggiustamento dell’organizzazione intergovernativa.

Serve una trasformazione profonda e veloce della Nato, che la faccia diventare una struttura capace di garantire un’alleanza per la pace nel mondo, un “braccio” armato ma democratico, di una Onu rinnovata, uscendo dal ruolo di organizzazione di difesa del solo Occidente “atlantico”. La Nato, così com’è è stata percepita per decenni e cioè come un nemico per i Paesi del Sud, per i Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa, ndr), deve invece aprirsi e allargarsi. Deve pensare al mondo, non solo a una sua parte. E visto che l’Onu non ce la fa più, la Nato ha le caratteristiche, il know how e le capacità militari, ma anche diplomatiche, per diventare il vero difensore della pace. Però, attenzione: solo se la Nato saprà essere credibile, attendibile, sincera e saprà allargarsi, potrà rappresentare e difendere tutti. (intervista rilasciata ad “Avvenire”)

Se il caos internazionale viene vissuto con questo imbarazzante semplicismo dal miglior fico del bigoncio meloniani, figuriamoci cosa penseranno gli altri…

I Paesi europei infatti possono (cor)rispondere in ordine sparso e tentare di (con)vivere, fingendo di non comprendere che non è in ballo soltanto l’alleanza atlantica, ma il fondamento democratico dell’Occidente svenduto alla borsa dei contro-valori.

E allora la Francia di Macron strizza l’occhio alla Cina tenendo fede al suo storico ruolo di rompiscatole, la Germania di Merz fa la voce grossa vantando la propria forza (?) economica, l’Italia meloniana fa buon viso a cattiva sorte mirando testardamente a diventare interlocutore privilegiato degli Usa riveduti e scorretti, l’Inghilterra risponde col mal di testa ai raffreddori trumpiani, i cespugli est-europei, dopo aver succhiato le mammelle della Ue, si illudono di passare agli omogeneizzati trumputiniani.

Tutto ciò avviene nell’attonito silenzio dei cittadini, così come se assistessero in seconda fila ad uno spettacolo più fantapolitico che geopolitico. Alla dura e forse irreversibile realtà di un mondo che avanza su binari non morti ma che portano alla morte non si può rispondere con un’alzata di spalle.

Non è un caso che, mentre il contesto internazionale spinge verso semplificazioni autoritarie e leadership forti, cresca anche un disagio democratico profondo. Il Censis lo ha osservato con chiarezza: circa il 30% degli italiani guarda con favore a forme di autarchia o a modelli di governo che riducono pluralismo e mediazione. Non è nostalgia ideologica. È paura, disorientamento, richiesta di protezione. Ed è proprio qui che si annida la deriva demofobica: quando la complessità viene percepita come minaccia e la democrazia come inefficiente. I corpi intermedi sono il primo, vero antidoto a questa deriva. Sono nuovi anticorpi democratici. Cooperative, associazioni, fondazioni, reti civiche, mutualismi non svolgono solo una funzione sociale o economica: svolgono una funzione politica in senso alto. Tengono viva la partecipazione, trasformano bisogni in domande collettive, costruiscono fiducia dove lo Stato è lontano e il mercato non arriva.

L’economia sociale, in questo quadro, non è un settore tra gli altri. È una infrastruttura democratica europea. È il luogo in cui valore economico e valore sociale non si separano, in cui la comunità non è uno slogan identitario ma una pratica quotidiana, in cui la sicurezza non è solo controllo ma capacità di prendersi cura. (“Avvenire” – Paolo Venturi)

La politica lanciò e mise in atto l’idea di un’Europa unita; l’antipolitica sta puntando ad un’Europa disunita o addirittura sbracata; le forze sociali devono conquistare gli spazi per (ri)costruire la democrazia europea che riesca ad invadere il mondo.

Nei giorni scorsi ho auspicato che, davanti alla triste realtà di chi non sa guidare e si spaccia per provetto autista, si reagisca viaggiando sulle proprie gambe, ci si aggrappi alla propria coscienza ed ai sogni per farli diventare realtà.  Se un sogno rimane a livello individuale non sposta nulla, se è condiviso a livello sociale può trasformarsi in realtà rivoluzionaria.