La guerra è un suicidio globale

«È ancora fecondo il grembo da cui nasce la guerra. Non basta far abortire il mostro, occorre togliere l’utero. L’unica violenza permessa a un pacifista» (B. Brecht).

«Adulto, maschio: uccidi. Spara per uccidere». Se ad approssimarsi sono «donne e bambini: spara per allontanarli. Se si avvicinano alla recinzione, fermali». Laddove «fermare» vuol dire anche guardare nel mirino e premere il grilletto. Non dice quante volte abbia ricevuto quegli ordini, né quante volte li abbia eseguiti, ma i ricordi del reduce, riportati in parlamento sotto anonimato, mulinano nella sua testa giorno e notte. C’è chi impara a convivere con l’orrore di Gaza. E chi la fa finita. Nel 2024 in Israele ci sono stati 358 casi di tentato suicidio: 279 erano era soldati delle forze di difesa in servizio o di rientro da Gaza, il 78% del totale. In nessun altro Paese del mondo con una storia di conflitti alle spalle si sono registrate proporzioni simili negli ultimi decenni, a meno di tornare ai postumi del Vietnam per gli Usa. Un rapporto pubblicato dal Centro di ricerca e informazione della Knesset, il parlamento israeliano, ha rivelato che tra gennaio 2024 e luglio 2025 per ogni soldato che si è tolto la vita, altri sette hanno provato a fare lo stesso. Secondo il dossier gli episodi segnano un drammatico aumento rispetto agli anni precedenti, quando il tasso di militari coinvolti oscillava tra il 42% e il 45% sul totale del Paese, mentre nel 2023 non arrivava al 17%. La scomposizione del fenomeno non lascia prevedere niente di buono. In totale, secondo l’organismo del parlamento, tra il 2017 e il luglio 2025 sono morti suicidi 124 soldati. Il rapporto ha chiarito che le cifre si riferiscono solo ai militari in servizio regolare che di riserva al momento della morte o del tentativo di suicidio, e non includono i veterani che si sono tolti la vita dopo aver completato il servizio nelle forze armate. Tra i casi censiti, il 68% erano coscritti, il 21% erano in servizio di riserva attiva e l’11% erano soldati di carriera. Molti di questi suicidi si potevano forse prevenire. Il rapporto della Knesset ha rivelato che solo il 17% dei soldati che si sono uccisi negli ultimi due anni, avevano incontrato un ufficiale di salute mentale nei due mesi precedenti la morte. La maggior parte dei dati è stata fornita dal centro di salute mentale del Corpo medico dell’Idf, dopo che erano stati richiesti da Hadash-Ta’al Ofer Cassif, parlamentare della sinistra israeliana noto per essere stato allontanato con la forza dall’emiciclo non appena aveva accusato il suo Paese di genocidio a Gaza. «Non c’è niente di più prezioso della vita umana», ha affermato Cassif. «L’epidemia di suicidi, che probabilmente peggiorerà ora che la guerra è finita – ha osservato -, richiede la creazione di sistemi di sostegno reali per i soldati e, soprattutto, la fine delle guerre e la realizzazione di una pace vera». (“Avvenire” – Nello Scavo)

Se c’era bisogno di un’ulteriore dimostrazione di come la guerra sia una sconfitta per tutti, eccola! Non solo, ma è una sconfitta che lascia dei segni incalcolabili ed incancellabili oltre che nelle strutture anche e soprattutto nelle menti e nei cuori. Recentemente il Parlamento israeliano ha celebrato trionfalmente la tregua, ma evidentemente non si è ricordato delle cifre di cui sopra. Le ferite della guerra non si rimarginano enfatizzando le conquiste e le vittorie, ma cambiando radicalmente l’approccio ai rapporti fra gli Stati e gli uomini. La tregua infatti non sta tenendo: ogni giorno si hanno clamorose e drammatiche violazioni, continue reciproche minacce.

Catherine Russel (direttrice generale Unicef) sostiene che i bambini di Gaza non hanno iniziato questa guerra, ma la pagano tutta. In una paradossale e interminabile catena di effetti perversi la pagano persino coloro che hanno ammazzato questi bambini. Peggio di così…

«È ancora fecondo il grembo da cui nasce la guerra. Non basta far abortire il mostro, occorre togliere l’utero. L’unica violenza permessa a un pacifista» (B. Brecht)