Leone XIV ricorda i 60 anni di “Nostra aetate”, la dichiarazione conciliare datata 28 ottobre 1965 che ha riscritto i rapporti fra la Chiesa cattolica e le altre religioni. A cominciare dall’ebraismo. E, di fronte a decine di migliaia di pellegrini che riempiono piazza San Pietro per l’udienza generale del mercoledì, condanna ogni forma di avversione al popolo dell’Alleanza. «La Chiesa non tollera l’antisemitismo e lo combatte, a motivo del Vangelo stesso», ribadisce con decisione il Papa. Accanto ai rappresentanti delle diverse fedi del mondo che si trovano sul sacrato della Basilica Vaticana, chiede di essere insieme «vigilanti contro l’abuso del nome di Dio, della religione e dello stesso dialogo, nonché contro i pericoli rappresentati dal fondamentalismo religioso e dall’estremismo». Poi ricorda il «ruolo fondamentale» che le «nostre religioni» hanno per costruire «la pace» e per «rifondare quella speranza nel nostro mondo devastato dalla guerra e nel nostro ambiente naturale degradato». Del resto, tiene a precisare il Papa, «il vero dialogo affonda le sue radici nell’amore, unico fondamento della pace, della giustizia e della riconciliazione, mentre respinge con fermezza ogni forma di discriminazione o persecuzione, affermando la pari dignità di ogni essere umano».
Udienza dedicata al dialogo interreligioso. Perché, sottolinea il Papa, “Nostra aetate” ha aperto «un nuovo orizzonte di incontro, rispetto e ospitalità spirituale» dove i seguaci di altre religioni non sono più visti «come estranei, ma come compagni di viaggio sulla via della verità». Ed è ampio lo spazio che nella sua riflessione il Pontefice dedica alle relazioni con il mondo ebraico. «Non possiamo negare – dice – che in questo periodo ci siano stati anche malintesi, difficoltà e conflitti, che però non hanno mai impedito la prosecuzione del dialogo. Anche oggi non dobbiamo permettere che le circostanze politiche e le ingiustizie di alcuni ci distolgano dall’amicizia, soprattutto perché finora abbiamo realizzato molto». Implicito il riferimento alle tensioni soprattutto con Israele per la guerra a Gaza. Per questo il Papa dice di «guardare con gratitudine a tutto ciò che è stato realizzato nel dialogo ebraico-cattolico in questi sei decenni». (da “Avvenire” – Giacomo Gambassi)
Il Papa, quando condanna l’antisemitismo sfonda una porta aperta, peraltro tenuta chiusa in passato proprio dalla Chiesa Cattolica. Sarebbe però opportuno ammettere innanzitutto che il pulpito da cui arriva la predica è credibile dal punto di vista evangelico ma non da quello della tradizione cattolica.
In secondo luogo occorre considerare anche le cause dell’insorgenza dell’antisemitismo: non è un male senza agenti e fattori, che, soprattutto in questo periodo, sono ampiamente ascrivibili al dissennato comportamento dei governanti dello Stato di Israele. Se purtroppo esiste un fuoco storico-culturale malefico di discriminazione e persecuzione, dobbiamo ammettere che troppa benzina viene gettata su questo fuoco da parte degli ex discriminati e perseguitati.
La condanna dell’antisemitismo, se non è accompagnata da una ferma, inequivocabile e fattiva condanna del comportamento discriminante e persecutorio da parte della società israeliana nei confronti dei palestinesi, sfociato in questi ultimi due anni in un vero e proprio genocidio come dir si voglia, resta fine a se stessa. Non è infatti sufficiente ascrivere ai governanti israeliani le terribili colpe accumulate nel tempo ed accentuate dalla carneficina vendicativa di Gaza; bisogna ammettere che la società israeliana è coinvolta più che mai, basti pensare alla illegittima e inarrestabile occupazione di terre da parte dei coloni israeliani, basti pensare al potere esercitato dalle fortissime caste sacerdotali che giustificano, Bibbia alla mano, la vendetta contro i nemici palestinesi identificati tout court con i terroristi di Hamas, basti pensare che Netanyahu e c. sono al potere in quanto eletti democraticamente (?), basti pensare che l’opinione pubblica israeliana interna ed esterna è piuttosto ondivaga e titubante nei confronti della belligeranza massacrante giustificata (?) dal ritornello antiterrorista.
Solo la questione pur drammatica degli ostaggi ha creato un’opposizione alla strategia governativa; poche, anche se autorevoli, le voci dissonanti a livello culturale e politico; troppa l’omertà interna ed internazionale su cui si appoggia il governo israeliano; squallido e inaccettabile l’appoggio acritico dell’Occidente, Italia compresa, bloccato sulle condanne meramente verbali dall’opportunismo affaristico prevalente.
Troppo felpate le considerazioni papali sullo stato dei rapporti fra Vaticano e Israele. Si parla di circostanze politiche e di ingiustizie di alcuni: ma stiamo scherzando? È in atto un vero e proprio genocidio verso i palestinesi e il Papa lo retrocede a ingiustizie di alcuni? È in atto da tempo una sistematica e illegittima aggressione verso i palestinesi e le loro terre e il Papa la chiama circostanza politica? Il dialogo non è un valore assoluto a cui sacrificare ingiustizie e crimini contro l’umanità! Si parla di amicizia: con dei massacratori di bambini non si può usare la prudenza; non si può avere alcuna comprensione per chi esercita la più brutale delle vendette.
Se la Chiesa non ha il coraggio di denunciare apertamente e concretamente i crimini israeliani, perde il mordente evangelico, nascondendosi dietro la pur sacrosanta condanna dell’antisemitismo.
Sarò fissato, ma penso che papa Francesco avrebbe un atteggiamento diverso. Spesso lo criticavano per mancanza di senso politico e di diplomazia. Se il senso politico non parte dalla giustizia e se la diplomazia non serve a difendere i deboli, si riducono a mere alchimie anti-evangeliche (il vostro parlare sia sì-sì, no-no).
Se il dialogo interreligioso naviga in superfice e non affonda nel mare della lotta contro le ingiustizie, resta una messa in scena. Se il dialogo non è supportato dalla coraggiosa ricerca morale e culturale di concrete convergenze, rimane una pantomima pseudo-politica che non porta da nessuna parte.
Anche la comunità di sant’Egidio a mio giudizio sta ripiegando su una linea troppo morbida e teatrale: d’altra parte l’aria che tira nella Chiesa di Prevost è questa. Per me non è respirabile!
