Difficile stabilire se quella che si profila fra Stati Uniti, Russia e Cina sia una Yalta a beneficio dei più forti. In certa misura lo è, come è innegabile che nel castello di Buda dove presumibilmente si terrà il vertice convergono tre differenti tipi di populismi, quello roboante di Trump, quello nazionalista di Putin e quello sovranista del premier che offre la dimora del vertice ai grandi della Terra, Viktor Orbán, ospitando un leader colpito da un mandato di arresto della Corte penale internazionale che l’Ungheria non ha alcuna intenzione di rispettare.
L’Europa, le democrazie liberali, i vassalli come Starmer, i sognatori di grandeur perdute come Macron, restano al palo. Davanti c’è un’ipotesi di tregua. Poi di pace. Trump la chiede con energia, per tornaconto personale e per legittima vanità. La pace, alla fine, conviene più della guerra. Più dei miliardi spesi in armamenti. Tutti lo sanno, a cominciare dai grandi leader del mondo. Ma occorre che qualcuno la reclami con forza. Perfino The Donald, il tycoon di Mar-a-Lago, è adatto al compito. (“Avvenire” – Giorgio Ferrari)
L’espressione “vaso di coccio tra vasi di ferro” indica una persona fragile e indifesa circondata da persone prepotenti e forti, che rischia di essere sopraffatta. L’origine del modo di dire è una favola di Esopo, in cui un vaso di terracotta teme di scontrarsi con i vasi di ferro che viaggiano con lui. Alessandro Manzoni riprende questa similitudine nel suo romanzo, I Promessi Sposi, per descrivere il personaggio di Don Abbondio.
È abbastanza evidente che la parte del vaso di coccio la stia facendo Zelensky, ridotto a pietire missili nei confronti di un Trump che glieli fa “sgolosare” assai per poi negarglieli sul più bello. C’è un modo di essere dignitosamente poveri e deboli, purtroppo il presidente ucraino non è riuscito, in tutta la lunga e drammatica vicenda, ad essere tale, finendo col rimanere in balia dell’Occidente che lo ha appoggiato e lo appoggia fino a mezzogiorno.
Non è giusto, ma la partita se la stanno giocando altri soggetti di lui ben più forti. Comunque finisca, finirà male. Il mondo in mano ai populisti con le democrazie liberali ripiegate su loro stesse.
Nella politica internazionale, europea e italiana, per il momento non si vede niente all’orizzonte a livello di nuova progettualità. Solo a destra c’è un disegno pericolosissimo: Stati Uniti, Russia, Germania, Francia, Italia, Ungheria. Stiamo aspettando la sinistra in crisi di identità: democratici americani, pd in Italia, casino francese, spagnoli ininfluenti come gli inglesi…
In questa situazione di stallo in cui è impossibile dormire sonni tranquilli, bisogna ripiegare sui sogni: il lungo sogno della resistenza attiva e costruttiva e quello dell’attesa passiva.
Da una parte il ritorno al multilateralismo basato sul dialogo; dall’altra l’accettazione degli accordi affaristici calati dall’alto. Sembra che il mondo abbia scelto la pace sepolcrale proposta dai potenti, ma anche questa non è così facile da perseguire e mantenere. La tregua medio-orientale patrocinata da Trump sta già scricchiolando; quella russo-ucraina è tuttora di là da venire, impantanata com’è nello scontro fra le furberie dei due grandi delinquenti.
L’Europa non è sufficientemente delinquenziale per entrare nel gioco sporco e non è sufficientemente democratica per tentare la problematica scalata ad uno straccio di pace vera. L’Italia, con la sua petulante premier Giorgia Meloni, fa il pesce in barile.
In un delirante messaggio inviato alla Niaf, l’organizzazione di italoamericani con sede negli Stati Uniti, in occasione del cinquantesimo anniversario, la nostra presidente del Consiglio, ha difeso a spada tratta il Columbus day dalle polemiche che negli ultimi anni hanno segnato la giornata di Cristoforo Colombo, con alcune organizzazioni, attivisti e intellettuali che hanno evidenziato l’altro volto della conquista: lo sterminio delle popolazioni indigene delle Americhe da parte degli europei e il colonialismo che ne scaturì. “Il Columbus Day è qui per restare”, ha assicurato la premier.
Ma il più bello è venuto di conseguenza. In risposta il presidente Donald Trump ha pubblicato su Truth un video di 21 secondi di Giorgia Meloni in cui la premier scandisce il suo più celebre slogan: “Sono una donna, sono una madre, sono cristiana”. Trump ha anche ricondiviso un post di LynneP in cui la premier viene lodata. “Giorgia Meloni sfida l’Unione e cerca di ottenere un accordo commerciale diretto con Trump. Ben fatto Meloni. È una mossa brillante”. (today.it)
Non c’è che dire, bel colpo Giorgia! Fuori dall’Unione europea per flirtare con Trump e viceversa. Tra i due sogni di cui sopra è rimasto il triste risveglio indotto dall’alzabandiera meloniano.