L’ultimo episodio di femminicidio, quello per certi versi annunciato e consumato a Milano ai danni di un’avvenente modella, ad opera del suo incontenibile e criminale compagno, ha suscitato in me un senso di fortissimo sgomento e di pietosa impotenza. A quale brutalità può arrivare un uomo, solo per vendicarsi di essere stato abbandonato da una donna a cui era legato non si sa in base a quale rapporto. Come è possibile che una donna nel fiore degli anni venga brutalmente assassinata, solo per avere deciso di interrompere con un uomo non si sa bene quale rapporto.
Dopo avere interiorizzato queste reazioni istintivamente umane è venuto il momento di profonde e serie riflessioni più pacate e razionali sul fenomeno del femminicidio, estremamente delicato, complesso e tragico: ho cercato cioè di collegare cuore e cervello per impegnarmi a capire più che per dare sfogo alla immensa pietà per le vittime e alla richiesta di pene esemplari per i colpevoli.
Tutti si stanno come al solito esercitando col senno di poi: auspicio di tempestive denunce da parte delle donne impaurite in quanto spaventate da minacce persecutorie e da violenze preparatorie; richiesta di interventi puntuali ed efficaci da parte della magistratura e delle forze dell’ordine; attivazione di strumenti sociali a supporto delle donne coinvolte in situazioni di estremo pericolo per la loro incolumità; presa di coscienza del problema a tutti i livelli per rimuovere il macigno del potere machista perdurante, checché se ne dica, nella cultura odierna. Tutte cose sacrosante da mettere in atto e non da enunciare come pianti sul latte versato.
Bisogna però ammettere che il femminicidio avviene nell’ambito di rapporti pseudo-sentimentali in crisi: andando ad esaminare questi rapporti mi sorgono grosse perplessità, mi colpisce quasi sempre la loro estrema superficialità e contraddittorietà. Forse si basano su tutto meno che sul vero amore: opportunismo, avventurismo, sessuomania, ricerca del successo e del piacere a tutti i costi. Si parte cioè col piede sbagliatissimo e si va quasi inevitabilmente a sbattere in una tremenda fiera degli equivoci: la donna si accorge del nulla esistente nel rapporto, si ribella, tenta di liberarsi dal vincolo; l’uomo non riconosce il fallimento del rapporto, fugge dalle proprie responsabilità, si intestardisce nella orgogliosa difesa di una sorta di proprietà privata con cui identifica la donna. La donna resta ferma nelle sue liberanti determinazioni e l’uomo va alle estreme conseguenze omicide.
Ci sono allora tre livelli di intervento. Il primo riguarda le scelte a monte troppo semplicistiche e i conseguenti rapporti troppo vuoti che si vanno ad imbastire. Sul nulla non si può costruire che il nulla e, si badi bene, un nulla che presenta il conto salatissimo del fallimento umano per entrambi i protagonisti. Un rapporto sentimentale è difficile da costruire comunque, figuriamoci se si parte da (quasi) niente, vale a dire dagli egoistici stereotipi consumistici e mediatici della nostra fasulla società.
Guardando la pubblicità e i talk show televisivi, ma anche tutto l’impianto mediatico, si ricava l’immagine della donna oggetto-erotico e dell’uomo-conquistatore: un assurdo e paradossale equilibrio che porta alla rovina.
Ricordo che, molti anni fa, monsignor Antonio Riboldi, vescovo di Acerra, durante una conferenza all’aula magna dell’Università di Parma, raccontò di avere scandalizzato le suore della sua diocesi esprimendo loro una preferenza verso la stampa pornografica rispetto a certe proposte televisive perbeniste nella forma e subdolamente “sporche” nella sostanza.
Non credo che il profetico vescovo intendesse giustificare la pornografia, ma volesse allargare il discorso a tutta la peste non fermandosi al solo pur grave bubbone pornografico. In fin dei conti la pornografia pura si sa cos’è e la si prende e combatte per quello che è, mentre è molto più pericoloso, dal punto di vista educativo e culturale, il messaggio nascosto che colpisce quando non te l’aspetti e senza poterlo apertamente contestare.
Alla pedante immagine della donna più o meno angelo del focolare abbiamo sostituito la pesante immagine della donna più o meno bambola gonfiabile; alla deresponsabilizzante figura dell’uomo padrone abbiamo sostituito o sovrapposto quella dell’uomo a cui non si può dire sessualmente di no.
Il secondo livello di intervento è quello dell’educazione alla sessualità e alla corretta impostazione dei rapporti sentimentali: discorso lungo, fatto a monte con seminagione di principi e valori e a valle con verifiche coordinate e continuative. Qui si è creato un corto circuito educativo fra chi ritiene giustamente irrinunciabile e obbligatorio l’inserimento dell’educazione sessuale nei curricula scolastici e chi mena il can per l’aia sostenendo l’opportunità di acquisire comunque preventivamente il parere vincolante delle famiglie. Certo il ruolo delle famiglie è fondamentale, ma non in conflittualità con la scuola: le famiglie facciano le famiglie, la scuola faccia la scuola ed entrambe le istituzioni collaborino fino in fondo senza riserve mentali provenienti dalle solite insulse preoccupazioni pseudo-religiose verso il sesso.
Il terzo è quello degli interventi (pene esemplari, potenziamento delle polizie, impegno della magistratura, etc. etc.) di cui si parla tanto nell’illusione che possano risolvere il problema o quanto meno contenerlo entro limiti accettabili, evitando il peggio del peggio.
La stigmatizzazione di un certo modo di essere maschio non deve illudere che la soluzione del problema passi dalla criminalizzazione generalizzata degli uomini, così come la vittimizzazione delle donne non basta a salvarle dalla violenza consumistica e da quella omicida.
Certo non si può aspettare l’evoluzione culturale delle nuove generazioni prima di intervenire, né si può pretendere la miracolosa conversione di donne e uomini allo sbaraglio.
Ai problemi difficili non si attagliano soluzioni facili. Ecco perché dobbiamo darci una regolata, altrimenti aggiungeremo agli “inevitabili” (?) bagni di sangue delle guerre e degli infortuni sul lavoro anche quello delle donne vittime predestinate di una società sbagliata nei suoi presupposti sentimentali.