L’unità, secondo Papa Leone, è il segno della presenza dello Spirito. Superare le divisioni, ha affermato, è di fatto un dono e un modo per capire che quello che si fa viene da Dio, un vero e proprio «criterio di verifica» del lavoro svolto. Citando sant’Agostino, infatti, Leone XIV ha notato che «come gli uomini spirituali godono dell’unità, quelli carnali cercano sempre i contrasti» (Papa Leone XIV al capitolo degli Agostiniani).
«Per favore, che nelle vostre comunità mai ci sia indifferenza. Comportatevi da uomini. Se sorgono discussioni o diversità di opinioni, non vi preoccupate, meglio il calore della discussione che la freddezza dell’indifferenza, vero sepolcro della carità fraterna» (Papa Francesco, udienza ai sacerdoti del movimento di Schönstatt).
La continuità non doveva essere l’imperativo irrinunciabile della Chiesa post-bergogliana? Se qualcuno trova nelle pur sintetiche proposizioni pastorali di cui sopra concordanza è molto bravo, io non ci riesco e quindi…sono preoccupato dell’aria nuova (?) che tira nella Chiesa cattolica.
Quando a mio padre rimproveravano di essere esageratamente permaloso di fronte a certe espressioni, era solito affermare convintamente: «L’ è al tón ch’a fà la muzica…».
Il tono prevostiano, checché se ne dica, è molto diverso da quello bergogliano. Niente di male! Però non mi si voglia far credere che tra i due papati c’è continuità.
E siamo solo agli inizi, il bello deve ancora venire. Fintanto che si resta nelle dichiarazioni di principio, come ad esempio il discorso della pace, tutto torna a livello di continuità, se invece si scende nella prassi e nello stile pastorali le differenze sono evidenti. Negarle è il solito escamotage clericale.
Ut unum sint, d’accordo, ma stiamo bene attenti a non confondere le diversità con le anticamere dell’eresia. La storia della Chiesa insegna a mio giudizio che l’intolleranza per le opinioni difformi dal dettato della tradizione e del dogmatismo ha creato guasti irreparabili.
Mia sorella Lucia mi ha fatto da battistrada e da esempio sulla via della partecipazione convinta ma critica alla vita ecclesiale. È per me un insegnamento irrinunciabile, a prova di papa. Il senso critico ce l’ho nel sangue, probabilmente proviene da mio padre: avere delle idee in controtendenza è comunque sempre meglio che non averne e appiattirsi sulle minestre che passa il convento.
Pertanto gli appelli all’unità di papa Leone non li spedisco al mittente, ma li prendo con le molle e li valuto con senso critico. Se l’unità è un segno dello Spirito, credo che sia tale anche la capacità di critica costruttiva ma decisa.
Da bambino ho chiesto ripetutamente a mio padre di darmi alcuni ragguagli su cosa fosse stato il fascismo. Tra i tanti me ne diede uno molto semplice e colorito. Se c’era da scegliere una persona per ricoprire un importante incarico pubblico, prendevano anche il più analfabeta e tonto dei bottegai (con tutto il rispetto per la categoria), purché avesse in tasca la tessera del fascio e ubbidisse agli ordini del federale di turno. «N’ éra basta ch’al gaviss la tésra in sacòsa, po’ al podäva ésor ànca un stupidd, ansi s’ l’ éra un stuppid, ancòrra méj…». A quel punto chiesi: «E tu papa, ce l’avevi quella tessera lì?». «Ah no po’!» mi rispose seccamente.
Mia madre, donna di fede rocciosa, non aveva mai voluto aderire ad alcuna associazione cattolica per paura di perdere la fede. Non gradiva tessere di appartenenza religiosa, le bastava il certificato di Battesimo e il certificato anagrafico che la legava al fratello sacerdote: al resto pensava lei con saggezza e carità.
Con questi precedenti famigliari non c’è papa che tenga, mi sento in diritto di assentire o dissentire liberamente dalla linea ufficiale della Chiesa e quindi non sono d’accordo con Leone XIV, che sembra buttare il bambino del confronto assieme all’acqua sporca del conflitto. D’altra parte è molto difficile tracciare una linea di confine tra confronto e conflitto…