Il 28 agosto erano stati oltre 30mila i sanitari a digiunare in segno di protesta per chiedere la fine dello sterminio a Gaza. Giovedì 2 ottobre, all’iniziativa “Luci sulla Palestina”, le previsioni dicono che potranno essere 50mila. Alle 21, torce, lampade, lumini e candele si accenderanno in oltre 200 ospedali del Paese, per illuminare simbolicamente la notte della Striscia. Un flash mob per ricordare gli oltre 60mila palestinesi uccisi in questi ultimi due anni dall’esercito israeliano, tra cui 1.677 sanitari, i cui nomi verranno letti dai colleghi italiani, in una staffetta che percorrerà tutta la Penisola.
Le reti si stanno coordinando dal basso. Le 15 chat regionali hanno migliaia di iscritti. Tutti partecipano, tutti collaborano e si mobilitano per dimostrare l’indignazione del mondo della sanità verso il massacro che sta compiendo Tel Aviv, nella complicità silenziosa dei governi occidentali. “Stiamo protestando da mesi e non ci fermeremo fino a che le istituzioni non agiranno concretamente e a tutti i livelli per fermare il genocidio palestinese – commenta ancora Gianelli -. Siamo un’onda dilagante, che monta ogni giorno. Come sanitari e sanitarie non possiamo rimanere a guardare, è nostro dovere mobilitarci”.
Pretendono azioni concrete da governo, regioni, comuni e aziende sanitarie. Non più tiepide dichiarazioni di biasimo, ma atti e impegni formali: “Chiediamo che sia avviato il boicottaggio immediato della azienda farmaceutica israeliana Teva, che non solo è complice del governo israeliano nelle politiche di occupazione e apartheid, da cui trae profitti, ma è anche attivamente coinvolta nel genocidio palestinese”, prosegue la referente. Anche la richiesta per l’esecutivo di Giorgia Meloni è chiara: fare pressione su Israele e interrompere accordi e forniture militari. “Questo è il senso della nostra mobilitazione. Ci uniamo a tutti i movimenti che in Italia e in tutta Europa chiedono di fermare il genocidio, a partire dalla Global Sumud Flottilla la cui iniziativa umanitaria e politica seguiamo e sosteniamo con forza e ammirazione”, conclude Gianelli. “Luci sulla Palestina”, l’appuntamento di giovedì sera davanti agli ospedali italiani, sarà l’occasione per i sanitari di alzare ancora una volta le loro voci all’unisono, per unirsi da terra alla Flotilla e rendere omaggio ai loro colleghi, uccisi mentre assistevano e curavano la popolazione di Gaza. (da “ilfattoquotidiano.it)
Da una parte c’è la sacrosanta protesta, l’ansia di partecipare, la voglia di gridare, dall’altra la vergognosa indifferenza dei governanti, di chi li sostiene acriticamente e di chi li vota più o meno convintamente, il delinquenziale intento di mettere la sordina a chiunque osi far sentire la propria voce.
L’esperienza mi fa pensare che prima dei conflitti c’è la corruzione delle coscienze, il vuoto della cultura, l’inconsapevolezza e l’indifferenza dei più, gli egoismi e le paure.
Dopo vengono i conflitti, i più devastanti. Prima c’è la disumanità nei pensieri, e poi nelle scelte politiche. Anzi, oggi non c’è più neppure la politica, disprezzata e marginalizzata. Ci sono solo gli interessi e la concentrazione degli interessi: del potere, delle armi, dell’economia, della finanza, della comunicazione, della tecnologia. Se è così, la responsabilità non è solo dei capi delle nazioni, ma dei popoli stessi. Della coscienza di ciascuno di noi. Noi responsabili della corruzione dello spirito, dell’ignoranza, della perdita del senso del noi. Della perdita della responsabilità politica, ad ogni livello, in ciascuna delle nostre vite. (ex senatrice Albertina Soliani)
Ed ecco, puntuale come un orologio svizzero, la nostra premier: la prima gallina che canta inni alla pace dopo aver fatto le uova della guerra, che tesse gli elogi dell’anti-democratico Trump dopo aver venduto ad esso la storia democratica dell’Italia e dell’Europa per un piatto di elogi inodori, incolori e insapori.
Giorgia Meloni prova a incastrare le opposizioni su Gaza, con un invito plateale a votare insieme alle destre un testo comune domani in Parlamento, dopo le comunicazioni del ministro degli Esteri Tajani. Lo fa da un comizio in Calabria, e poco dopo si scaglia contro la Flotilla con toni veementi: «La speranza di pace che si è aperta con il piano di Trump poggia su un equilibrio fragile, che in molti sarebbero felici di poter far saltare. Temo che un pretesto possa essere dato dal tentativo della Flotilla di forzare il blocco navale israeliano». La missione navale «dovrebbe fermarsi ora e accettare una delle diverse proposte avanzate per la consegna degli aiuti: ogni altra scelta rischia di trasformarsi in un pretesto per impedire la pace e alimentare il conflitto».
Parole che rendono ancora più strumentale l’appello lanciato poco prima: «Mi piacerebbe che l’Italia votasse compatta per dimostrare che la pace la si vuole davvero». Parole condite dall’irrisione verso i sindacati e le loro piazze: «La pace non arriverà perché Landini o l’Usb indicono lo sciopero». E ancora; «Nelle Marche il Pd ha trattato i cittadini da stupidi dicendo “vota per noi e avrai lo Stato in Palestina”». Tajani rincara la dose: «Vorremmo che giovedì in Parlamento tutti sostenessero il piano degli Usa». (da “il manifesto” – Andrea Carugati)
Non sono mai stato un movimentista, un patito delle lotte di massa, ma in democrazia guai a irridere alle proteste e ad imbrigliarle: in certi frangenti assumono un’importanza fondamentale per smuovere le acque stagnanti della politica. La spontanea mobilitazione della gente in difesa di una causa come quella della fine dello sterminio a Gaza deve essere attentamente valutata e considerata e non certo messa strumentalmente in contrapposizione ad eventuali azioni diplomatiche.
Non disturbare il manovratore è un invito che in democrazia non ha alcun senso: è più che opportuno che la politica senta il fiato sul collo e si sottoponga all’esame finestra per quanto concerne la serietà delle azioni diplomatiche.
Ben vengano quindi le mobilitazioni come quella del mondo sanitario per la Palestina, che hanno un valore etico, culturale e politico.
Le recenti elezioni regionali nelle Marche hanno registrato un calo enorme di affluenza alle urne: è la risposta ad una politica chiusa in se stessa, che non vede i problemi, non sente le proteste e non parla di proposte.
Qualcuno dice che la sinistra ha perso perché ha parlato troppo di Gaza e poco dei problemi dei marchigiani, mentre la destra ha trionfato cavalcando il pragmatismo che piace alla gente: non sono d’accordo. Si è parlato poco di politica e si è continuato a dare la netta impressione del distacco della politica dai problemi di tutti i tipi e di tutti i livelli.
Si rende conto chi di dovere che, se un italiano su due non si reca alle urne, è in atto una vera e propria auto-delegittimazione della politica dagli effetti inquietanti e devastanti? Altro che stigmatizzare le proteste, altro che auto-vittimizzarsi presuntuosamente, altro che cavalcare furbescamente la sfiducia all’insegna del “chi non vota ha sempre torto”.
Questo andazzo fa brodo ad una destra sempre più illiberale ed autoritaria basata su una sorta di istituzionalizzazione dell’egoismo e del qualunquismo e crea crisi di identità e di consenso ad una sinistra che dovrebbe basarsi sulla partecipazione e sulla solidarietà.