Armi über alles

Il bilancio del governo tedesco dopo i primi cento giorni è incerto; per il cancelliere Friedrich Merz il bicchiere è pieno per tre quarti, per la stampa tedesca vuoto a metà. Grande incertezza resta soprattutto il buco di bilancio. Con la ripresa economica che tarda a deflagrare, il settore automobilistico in crisi cerca di trarre ossigeno da commesse militari. L’esempio più pregnante è quello della Deutz AG di Colonia, forse il più antico produttore di motori con oltre 160 anni di attività dedicati soprattutto alla motorizzazione di trattori, mietitrebbia e macchine edili. L’azienda era già attiva nel settore della difesa da decenni, ma solo su piccola scala, meno del due percento del fatturato. L’amministratore delegato Sebastian Schulte ha preso però il timone della società il 13 febbraio 2022, appena undici giorni prima dell’invasione russa dell’Ucraina, e cogliendo il cambiamento punta a portare nell’arco dei prossimi anni la quota produttiva diretta alle forze armate dal cinque al dieci percento.

È una sfida non da poco passare dal progetto di un motore per una locomotiva ad uno per un obice; in ambito militare entrano in gioco standard di robustezza alle sollecitazioni ed alle variazioni di temperature molto maggiori, mentre l’alimentazione è a cherosene. Se per gli ingegneri le sfide progettuali sono stimolanti, non tutti i 5mila dipendenti dell’azienda inizialmente erano d’accordo col nuovo corso di diventare fabbri d’armi, ha spiegato Schulte alla Ard, ma il settore delle macchine edili dipende fortemente dall’economia globale, invece l’industria della difesa promette ordini a lungo termine e dà garanzie occupazionali, allargando la fascia di mercato.

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Per le singole aziende il settore della difesa può però rivelarsi redditizio garantendo sicurezza nella pianificazione industriale; un contratto a lungo termine con un cliente militare – incuranti dell’anelito biblico “forgeranno le loro spade in vomeri” – assicura oggi la produzione dai prossimi tre a sette anni. (da “Il Fatto Quotidiano” – Andrea M. Jarach)

Ci chiediamo il perché dei progetti di riarmo a livello europeo? La risposta ce la dà la Germania con la delinquenziale ipotesi di risanare i bilanci delle imprese e di combattere la depressione economica producendo armi.

Mi viene spontaneo riandare alla mentalità di mio padre, che era decisamente allergico alle armi. Aveva fatto il servizio militare con spirito molto utilitaristico ed un po’ goliardico (per mangiare, perché a casa sua si faceva fatica), cercando di evitare il più possibile tutto ciò che aveva a che fare con le armi (esercitazioni, guardie, tiri etc.) a costo di scegliere la “carriera” da attendente, valorizzando i rapporti umani con i commilitoni e con i superiori, mettendo a frutto le sue doti di comicità e simpatia, rispettando e pretendendo rispetto aldilà del signorsì o del signornò.

Raccontava molti succosi aneddoti soprattutto relativamente ai rapporti con il tenente cui prestava servizio. Aveva vissuto quel periodo come una parentesi nella sua vita e come tale l’aveva accettato, seppure con una certa fatica.

Mio padre era estraneo alla mentalità militare, ne rifiutava la rigida disciplina, era allergico a tutte le divise, non sopportava le sfilate, le parate etc., era visceralmente contrario ai conflitti armati.  Quando capitava di ascoltare qualche notizia riguardante provocazioni fra nazioni, incidenti diplomatici, contrasti internazionali era solito commentare: “S’ag fis Mussolini, al faris n’a guera subita. Al cominciaris subit a bombardar”. 

Era una lezione di politica estera (sempre molto valida, più che mai in clima di unilateralismo, di guerra preventiva, etc.) e di antifascismo (bollando il regime per quello che era e non revisionandolo strumentalmente).

Ogni volta che sentiva notizie sullo scoppio di qualche focolaio di guerra reagiva auspicando una obiezione di coscienza totalizzante: “Mo s’ pól där ch’a gh’sia ancòrra quälchidón ch’a pärla äd fär dil guèri?”. Poi trovava l’unica spiegazione plausibile: “Il j ärmi bizògna pur droväriä, altrimenti é fnì al zôgh …”.  

Da mio padre al Santo Padre Francesco il passo non è poi così lungo.

«Chi parla della pace spesso non è attendibile, perché il proliferare degli armamenti conduce in senso contrario. Sarebbe un’assurda contraddizione parlare di pace, negoziare la pace e, al tempo stesso, promuovere o permettere il commercio delle armi» (Papa Francesco ai diplomatici, 15 maggio 2014).

«Perché armi mortali sono vendute a coloro che pianificano di infliggere indicibili sofferenze a individui e intere società? Purtroppo la risposta, come tutti sappiamo, è semplicemente per denaro: denaro che è intriso di sangue, spesso del sangue innocente. Davanti a questo vergognoso e colpevole silenzio, è nostro dovere affrontare il problema e fermare il commercio di armi» (Papa Francesco, discorso all’Assemblea plenaria del Congresso degli Stati Uniti d’America).

«Lancio un appello a tutti quelli che usano ingiustamente le armi di questo mondo: deponete questi strumenti di morte. Armatevi piuttosto della giustizia, dell’amore e della misericordia, autentiche garanzie di pace» (Papa Francesco, viaggio in Centrafrica).

«Il giorno in cui le imprese di armi finanzieranno ospedali per curare i bambini mutilati dalle loro bombe, il sistema avrà raggiunto il suo culmine. Questa è l’ipocrisia» (Papa Francesco, discorso del 04 febbraio 2017 ai partecipanti all’Incontro “Economia di Comunione”, promosso dal Movimento dei Focolari).

«La corsa agli armamenti non risolve né risolverà mai. Essa serve solo a cercare di ingannare coloro che reclamano maggiore sicurezza, come se oggi non sapessimo che le armi e la repressione violenta, invece di apportare soluzioni, creano nuovi e peggiori conflitti» (papa Francesco nella sua Esortazione “Evangelii Gaudium).

È perfettamente inutile e ipocrita accampare scuse di carattere geopolitico per la corsa alle armi: non le prendo nemmeno in considerazione! Mi stupisco che tanti politici, anche di sinistra (?), insistano con le menate più o meno riconducibili al “vis pacem para bellum”: mentono sapendo di mentire.