La più debole delle onnipotenze

”Mi piace il concetto di un cessate il fuoco perché si smetterebbe immediatamente di uccidere persone, invece che tra due settimane — ha detto Trump —. Vorrei che smettessero, ma strategicamente ciò potrebbe essere uno svantaggio per una parte”.

Come prova dell’inutilità di una pausa nei combattimenti, Trump ha citato “sei guerre che ho risolto in 6 mesi, una delle quali era un possibile disastro nucleare”. In almeno due dei casi ai quali si riferiva, India-Pakistan e Azerbaijan-Armenia, un cessate il fuoco era scattato prima del coinvolgimento americano (in Armenia da un anno e mezzo). In Congo i ribelli hanno appena abbandonato i colloqui di pace. (da “Avvenire” – Elena Molinari)

Ho parzialmente seguito la diretta televisiva – più per dovere di cittadino del mondo che per fiducia nelle buffonate diplomatiche in corso – di quel vomitevole ibrido andato in scena alla Casa Bianca, un mix di colloquio fra Trump e Zelensky e di pseudo-conferenza stampa coi giornalisti compiacenti.

Tra le tante cazzate elargite da Trump e ingoiate da Zelensky ho colto l’insistenza sul concetto in base al quale la guerra russo-ucraina non sarebbe iniziata se lui fosse stato presidente insediato alla Casa Bianca: un’affermazione totalmente gratuita, storicamente indimostrabile, l’ennesimo specchietto per le allodole interne e internazionali. L’approssimativo e confuso accenno fatto alle guerre risolte in 6 mesi dimostra la inverosimile narrazione di un megalomane.

A nessun giornalista è passato per la mente di chiedere come e cosa avrebbe fatto per evitare questo conflitto: domanda forse pericolosa per l’incolumità di chi avesse il coraggio di porla. Tutto perciò è virtualmente possibile e lasciato all’immaginazione dei fans sulla base dell’ostentata onnipotenza trumpiana.

Fuori onda di Meloni con Trump: “Io non voglio mai parlare con la stampa italiana. Meglio non prendere domande” Operazione verità di Giorgia Meloni. In due momenti della lunga giornata passata accanto a Donald Trump la premier italiana ammette il suo non facile rapporto con la stampa italiana. La prima volta quando il presidente finlandese Stubb si dice stupito di come Trump abbia aperto le porte del vertice ai giornalisti. Lei dice sorridendo: “Ma a lui piace. Gli piace sempre. Io invece non voglio mai parlare con la stampa italiana”. Alla conferenza stampa successiva la premier conferma la sua allergia alle domande. Trump le chiede: “Ragazzi volete prendere qualche domanda? (dai giornalisti, ndr). Meloni risponde sussurrando all’orecchio del presidente Usa: “Penso sia meglio di no, siamo troppi e andremmo troppo lunghi”. (Ilario Lombardo inviato a Washington de “La Stampa).

La mordacchia, con tanto di placet meloniano, viene quindi posta alle trattative in corso: Zelensky deve tacere e fidarsi, l’Europa può parlare senza esagerare e soprattutto pagando il conto, il mondo guardi e ammiri. Gli Usa diventeranno gli arbitri di un equilibrio internazionale basato sulla prepotenza e sulla totale mancanza di principi e di regole: prendere o lasciare. Anche la Russia di Putin non può che abbozzare, tanto sa che, tutto sommato, questa può essere l’unica rispettabile e conveniente via d’uscita le cui condizioni vengono dettate più da Mosca che da Washington: a Putin la sostanza, a Trump la forma, alla Ue il diritto di sbirciare dal buco della serratura.

E la chiameranno pace, dicendo che, in fin dei conti, le cose sono sempre andate più o meno così. Anche se fosse vero, e non lo è, non accetterei mai una simile verità. Una pace garantita da chi esclama: “Non son più presidente, son Dio!”.