È notte fonda per la Cgil. Il primo sindacato italiano, costola del Partito democratico, guidato da Maurizio Landini, ormai proiettato verso un futuro in politica, mette in fuga gli iscritti. La svolta anti-Meloni non piace alla base Cgil. I dati sono impietosi. Dal 16 ottobre 2024 all’8 agosto 2025 sono 45mila i lavoratori che hanno deciso di strappare la tessera d’iscrizione al sindacato. In dieci mesi, quasi 50mila lavoratori hanno salutato Landini e company. Una media negativa di circa 5mila lavoratori al mese. C’è molto lavoro da fare agli uffici di Corso Italia, che è a Roma. Fioccano le lettere di disdetta inviate alla segreteria nazionale. La fuga è omogenea e non colpisce solo un’area dell’Italia. Un po’in tutte le regioni i lavoratori decidono di dare picche a Landini. (da “Il giornale”)
È notte fonda per l’Italia se un sindacato dei lavoratori perde iscritti e viene messa in discussione, almeno quantitativamente, la sua rappresentatività. È notte fonda se qualcuno gode di ciò, lasciando intendere la sua opzione autocratica in cui non c’è posto per le cosiddette forze intermedie, ma solo per il popolo che consegna deleghe in bianco (o in nero) al governo.
Del resto l’aria che tira in Italia, e non solo in Italia, è questa. Ciò non toglie che anche il sindacato più rappresentativo dei lavoratori e dei pensionati abbia le sue responsabilità non tanto perché si interessi di politica, ma forse per essersene interessato poco.
È noto come all’interno della CGIL ci siano iscritti con idee politiche diverse, parecchi di fede leghista ed è quindi più che naturale che, quando il sindacato scende da battaglie meramente corporative e rivendicazioniste per passare a discorsi globali, il dissenso arrivi fino all’abbandono del sindacato stesso. Non ci trovo niente di scandaloso né tanto meno di soddisfacente.
Forse però il sindacato si dovrebbe interrogare sull’aver fatto o meno fino in fondo il proprio dovere tra occupati e disoccupati, tra lavoratori e pensionati, tra lavoratori superprotetti e lavoratori precari, tra italiani e immigrati, tra scioperi ingiustificati e omertose difese di tutti (fannulloni compresi), tra battaglie unitarie e tattiche separate rispetto alle altre organizzazioni sindacali.
Forse dovrebbe interrogarsi anche sull’aver fornito o meno servizi e assistenza adeguati agli iscritti e se non abbia svolto la propria funzione in modo piuttosto burocratico e anonimo. Ho lavorato per tanti anni in un sindacato di imprese cooperative e so per certo come gli associati prima di tutto chiedano ascolto e aiuto per i propri problemi.
Probabilmente il ruolo del sindacato va rivisto togliendolo dalle secche della mera conflittualità per andare verso la costituzione di massa critica in difesa del lavoro: dirlo è facile, farlo no.
Maurizio Landini è un galantuomo e non credo stia agendo col secondo fine personale della carriera politica e per ridurre il suo sindacato a ruote di scorta del PD o per sostituirsi ad esso: non è facile guidare un sindacato in mezzo al marasma politico, sociale ed economico della odierna società.
Può darsi infine che una certa cura dimagrante non sia del tutto nociva alla salute della CGIL, così come apprezzo l’intento di portare chiarezza critica sui problemi del lavoro di fronte a certo insopportabile trionfalismo governativo. Come si spiega infatti che l’occupazione aumenta ma aumenta anche la povertà?
La mia storia politica la dice lunga sulla sensibilità ai problemi del lavoro affrontati sulla scorta della spinta sindacale: militavo nella DC aderendo alla corrente della sinistra sindacal-aclista. Il mondo è cambiato, ma i problemi del lavoro rimangono e tendono ad ingigantirsi. Auspico un rilancio del ruolo sindacale ed una maggiore sensibilità politica della sinistra verso di esso e mi accontenterei che il governo dialogasse con esso senza faziosità e col dovuto rispetto.