La procura di Milano indaga su quattro anni di gestione del carcere Beccaria di Milano: dal 2021 al 2024. Ci sono anche due ex direttrici del carcere Minorile Beccaria di Milano, Cosima Buccoliero e Maria Manenti, e una vicedirettrice che ha assunto per un breve periodo la reggenza Raffaella Messina nell’inchiesta per maltrattamenti, torture e falso. Un altro ex direttore, Fabrizio Rinaldi, seppur non presente nella richiesta di incidente probatorio, è a sua volta coinvolto nell’indagine. Le dirigenti dell’istituto penale minorile sono accusate in particolare di aver tenuto condotte omissive. Perché, «non esercitando i poteri di vigilanza e controllo e coordinamento agli stessi conferiti, omettevano di impedire le condotte reiterate, violente e umilianti all’interno dell’Ipm Beccaria».
Oltre alle ex direttrici, tra gli indagati ci sono un sovraintendente del carcere e due comandanti della penitenziaria. Anche tre operatori sanitari sono coinvolti nell’inchiesta sui soprusi e i pestaggi all’interno dell’istituto minorile. Il coordinatore sanitario, il medico e il coordinatore infermieristico del carcere sono accusati in particolare di aver redatto «referti falsi o concordati con gli agenti di polizia penitenziaria» per nascondere le lesioni riportate dai detenuti e «assistendo a plurime aggressioni» da parte degli agenti.
In tutto sono 42 gli indagati, 21 dei quali comparivano già nell’ordinanza cautelare dell’aprile 2024 con la quale erano stati disposti gli arresti per 13 agenti della penitenziaria e altri otto erano stati sospesi dal servizio. Oltre 30 gli appartenenti alla polizia penitenziaria indagati. I reati contestati sono stati commessi nei confronti di 33 ex-detenuti dell’istituto, parti lese che saranno sentite con la formula dell’incidente probatorio. È quanto risulta appunto dalla richiesta di incidente probatorio firmata dalla procuratrice aggiunta Letizia Mannella e dalle pm Rosaria Stagnaro e Cecilia Vassena. Sputi in faccia, calci e pugni sferrati sull’intero corpo – in un caso anche un colpo alla testa con uno stivale – il tutto condito da insulti irripetibili e spesso razzisti. Sono le scene che la richiesta di incidente probatorio – avanzato dalla Procura di Milano – restituisce di quanto avvenuto, per mesi, nel carcere minorile Beccaria. Maltrattamenti, lesioni, torture e un caso di violenza sessuale, che ora vedono salire la lista dei presunti responsabili e mettono in fila più episodi di violenza, dal 2021 al marzo 2024. Si tratta della fase 2 di un’indagine partita nell’aprile 2024 che aveva già portato a 13 arresti e 8 sospensioni.
Nel novembre 2023 un ragazzo di origine araba è stato colpito da alcuni agenti della penitenziaria con «più cinghiate anche sulle parti genitali fino a provocarne il sanguinamento». Frequenti le violenze psicologiche e fisiche e le umiliazioni: in più occasioni i detenuti vengono portati all’interno di una stanza priva di telecamere e aggrediti in gruppo, anche utilizzando le manette per immobilizzarli. «Compare, io ti mangio il cuore» è una delle frasi pronunciate da un poliziotto della penitenziaria prima di colpire un ragazzino. Nel gennaio 2024 un altro detenuto che stava dando in escandescenze in cella veniva picchiato con particolare violenza: «Lo colpivano con calci e pugni al volto e alla schiena e gli premevano un ginocchio sul collo; poi si spostavano nella cella dove ammanettavano il detenuto con le mani dietro alla schiena e, mentre lo stesso si trovava sdraiato a faccia in giù sul pavimento, lo colpivano con un calcio alla schiena». Sono alcuni dei casi documentati nella richiesta. (da “Avvenire” – Simone Marcer)
Perché tanta violenza, peraltro tollerata e addirittura fomentata, all’interno di un carcere oltre tutto minorile?
Durante la mia vita professionale, avendo l’occasione di svolgere funzioni direttive, raccomandavo ai colleghi tolleranza e correttezza in base al seguente ragionamento minimalista, ma assai realista: lavorare è inevitabilmente faticoso, cerchiamo di non renderlo tale ancor di più con atteggiamenti e comportamenti aggressivi e insofferenti…
Facciamo le debite proporzioni ed eccoci all’interno di un carcere, luogo di sofferenza: non aggiungiamoci violenza verbale e fisica da parte di chi vive e lavora in questo ambiente.
Violenza chiama violenza: più il carcere viene impostato come luogo di mera punizione e più vi sarà la istintiva reazione di scaricare in qualche modo la tensione su chi vive in quell’ambiente. Come sempre a farne le spese saranno i soggetti più deboli che verranno investiti da una sorta di ciclone paradossalmente vendicativo. Non occorre scomodare la psicologia per capirlo.
Cosa fare? Innanzitutto occorrerebbe che ciascuno facesse il proprio dovere a cominciare dai dirigenti delle carceri, ma sono convinto che non possa bastare.
Da qualche tempo, di fronte agli enormi problemi che stiamo vivendo, mi sento sempre più in dovere di partire dall’enorme portata culturale della nostra Costituzione. Vale per la guerra (ripudio), per i pubblici amministratori (disciplina ed onore), per l’accoglienza ai migranti (diritto d’asilo), per ogni e qualsiasi tentazione razzistica e discriminatoria (uguaglianza di tutti i cittadini), per le derive nazionaliste (cooperazione con gli altri Stati), per le spinte populiste (equilibrio democratico e meccanismi di controllo e bilanciamento dei poteri), per la mancanza di lavoro e per i morti sul lavoro ( lavoro valore fondante della Repubblica), per i femminicidi e le violenze contro le donne (uguaglianza fra uomini e donne), per la sanità pubblica (salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività), per la pubblica istruzione (scuola aperta a tutti, istruzione obbligatoria e gratuita, diritto dei capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, di raggiungere i gradi più alti degli studi), per i partiti politici (concorrere con metodo democratico a determinare la politica, divieto di ricostituzione del partito fascista), per la magistratura (autonomia e indipendenza).
In questo impegno alla riscoperta dei principi costituzionali un posto importante riguarda la pena carceraria. Nel contesto della Costituzione italiana, essa è soggetta a principi fondamentali che ne regolano l’esecuzione e la finalità. L’articolo 27 della Costituzione, in particolare, stabilisce che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Questo implica che la detenzione non può essere fine a sé stessa, ma deve mirare al reinserimento sociale del reo. Il tutto, a maggior ragione vale per i minori.
Dobbiamo partire di qui per rivedere l’impostazione del carcere, per salvaguardare i diritti del condannato, per regolare il comportamento di chi opera nell’ambito carcerario, per evitare ogni e qualsiasi tipo di violenza, per prevenire i suicidi, per riportare cioè l’istituto carcerario nell’ambito del sistema democratico di cui è specchio fedele.
A carico di un cittadino condannato a qualsiasi pena detentiva non è ammissibile alcuna violenza fisica o psicologica, ma vige l’obbligo dell’assoluto rispetto dei diritti fondamentali della persona. Non resta che rimboccarsi le maniche: non è tollerabile che un carcerato venga torturato o indotto più o meno direttamente al suicidio. Servono amnistia e indulto? Si faccia ricorso anche a queste possibilità. Non ci si limiti a queste, ma non le si escluda. Non ci siano omertà e opacità. Si faccia qualcosa di concreto e di programmaticamente fondamentale per ovviare a questa vergogna della nostra malata democrazia.
Papa Francesco (meno se ne parla e più mi sento in dovere di ricordarlo), quando visitava le carceri, si chiedeva provocatoriamente in riferimento ai carcerati: “Perché loro e non me…”. Sarebbe opportuno che tutti ci ponessimo questa domanda e ne scopriremmo delle belle…