«Questa città ha sempre avuto una certa riluttanza ad affrontare la questione morale» spiega oggi il professore di Sociologia della criminalità organizzata all’Università degli Studi di Milano. «Me ne accorsi proprio in quella campagna elettorale. La legalità spaventa, inquieta: è il dehors costruito senza permesso, il gradino abusivo, la raccomandazione. Da allora quando parlo di questi temi, suggerisco a chi vuole candidarsi di parlare di correttezza, piuttosto che di legalità. È un concetto più semplice da accettare per il cittadino comune. Peccato poi che quando si fa riferimento al principio di correttezza, la correttezza da discutere è solo quella degli altri».
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«Come si fa a non provare imbarazzo per le carte che stanno uscendo dalla Procura? Chi può immaginare di costruire grattacieli dentro un cortile? Spero si provi almeno un po’ di vergogna…».
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«Per questo dico che Milano non ha gli strumenti per affrontare la questione morale. Non vuol dire che devono comandare i tribunali, al contrario. Vuol dire che la legalità può essere un sentimento e una risorsa da utilizzare dal punto di vista etico e giuridico per immaginare un futuro sostenibile. Invece, nel tempo dell’edilizia forsennata, è stato fatto tutto immaginando che Milano dovesse essere una città di ricchi. Ma le città dei ricchi non esistono, perché dove ci sono i ricchi esistono anche i poveri. Il punto è che ai poveri non ha pensato più nessuno. Chi ha tutelato i diritti di insegnanti, autisti, rider, lavoratori del terziario? Nessuno. Così nella metropoli è scomparso anche il ceto medio».
(dall’intervista rilasciata da Nando Dalla Chiesa al quotidiano “Avvenire”)
Non ho molto da aggiungere, in ordine alla grave emergenza amministrativa conseguente alle indagini in corso a Milano sulla gestione “allegra” dell’urbanistica, rispetto a questa sacrosanta e civica denuncia: non so se molti cittadini avranno la forza di indignarsi, mentre i politici sgattaiolano intorno al problema, rifugiandosi all’ombra del garantismo che li accomuna tutti.
Non è un caso che Giorgia Meloni abbia così dichiarato: “La mia posizione è quella che ho sempre su questi casi: penso che la magistratura debba fare il suo corso, e per quello che riguarda il sindaco, io non sono mai stata convinta che un avviso di garanzia porti l’automatismo delle dimissioni. È una scelta che il sindaco deve fare sulla base della sua capacità, in questo scenario di governare al meglio. Non cambio posizione in base al colore politico degli indagati”.
Prima della questione giudiziaria viene quella morale. La vogliamo smettere di confabulare alle spalle dei cittadini e di distrarci di fronte alle moderne e sofisticate congiure ai danni delle nostre città?
Come ai brutti tempi di tangentopoli anche oggi esistono due istituzioni che possono aiutarci nella difesa contro la deriva della corruzione: la Magistratura e la Chiesa.
La magistratura, forse un po’ troppo a macchia d’olio e sporadicamente, scoperchia le pentole, salvo essere immediatamente accusata di esorbitare dai suoi poteri e di volersi intromettere nella politica o quanto meno di volerla condizionare. Non bisogna disturbare il manovratore?
Papa Francesco aveva idee molto chiare: «È l’ambiente che facilita la corruzione. Non dico che tutti siano corrotti, ma penso sia difficile rimanere onesti in politica. Parlo dappertutto, non dell’Italia. Penso anche ad altri casi. A volte vi sono persone che vorrebbero fare le cose chiare, ma poi si trovano in difficoltà ed è come se venissero fagocitate da un fenomeno endemico a più livelli, trasversale. Non perché sia la natura della politica, ma perché in un cambio d’epoca le spinte verso una certa deriva morale si fanno più forti» (papa Francesco intervista a “Il Messaggero” del 29 giugno 2014).
Anche lui, quando era in vita, veniva ascoltato per modo di dire, adesso è stato precipitosamente giubilato: come sostiene don Luigi Ciotti, la corruzione rimane un tema non sufficientemente entrato nella riflessione della Chiesa ed è tuttora un vuoto da colmare.
Il mio caro amico Pino mi ha regalato una delle sue stupende riflessioni: “Madre Teresa di Calcutta è la capofila dei mistici della compassione, padre Pio da Pietrelcina è il capofila dei mistici dell’espiazione, Giorgio La Pira è capofila dei mistici della politica. Quanto è difficile conciliare la mistica con l’impegno in politica!”.
Ecco come si espresse il sindaco di Firenze Giorgio La Pira nel 1955 alla segreteria nazionale della DC: «Fino a quando mi lasciate a questo posto, mi opporrò con energia massima a tutti i soprusi dei ricchi e dei potenti. Non lascerò senza difesa la parte debole della città: chiusura di fabbriche, licenziamenti e sfratti troveranno in me una diga non facilmente abbattibile… Il pane (e quindi il lavoro) è sacro. La casa è sacra. Non si tocca impunemente né l’uno né l’altra! Questo non è marxismo: è Vangelo! Quando gli Italiani poveri saranno persuasi di essere finalmente difesi in questi due punti, la libertà sarà sempre assicurata al nostro Paese».
Non voglio buttare, prematuramente e sbrigativamente, la croce addosso a nessuno, ma, se il sindaco di Milano Giuseppe Sala avesse tenuto la barra dritta nella direzione indicata da La Pira, forse Milano non sarebbe ancora nell’occhio del ciclone.