L’Europa è pronta ad accettare l’inevitabile: un dazio del 10 per cento imposto dagli Stati Uniti sulla gran parte delle sue esportazioni. Ma non a qualsiasi condizione.
Il commissario europeo al Commercio, Maros Sefcovic, è al lavoro per siglare entro martedì 9 luglio un’intesa commerciale con l’amministrazione di Donald Trump che, pur ammettendo un certo squilibrio a favore degli Usa, consenta di proteggere settori strategici come farmaci, alcolici, semiconduttori e componentistica per aerei.
Lo slovacco si recherà a Washington, dove incontrerà Jemieson Greer, il rappresentante Usa per il commercio, a seguito degli incontri tecnici avuti fra i funzionari europei e degli Stati Uniti in questi giorni. (EUROPATODAY)
La melina non mi piace nel calcio, immaginiamoci nei rapporti pseudo-diplomatici: l’ostruzionismo, per perdere o guadagnare tempo, lo fa chi è in vantaggio e vuol sfruttare la propria posizione di forza; chi è in posizione di debolezza deve cercare di stringere i tempi e di recuperare per portarsi almeno in pareggio.
Donald Trump cambia continuamente le carte in tavola. Era partito, lancia in resta, per silenziare brutalmente Zelensky e dare fiato a Putin e così mantenere la promessa elettorale e avviare a soluzione la guerra contro l’Ucraina in men che non si dica.
Strada facendo ha puntato sull’accaparramento delle terre rare, ammorbidendo l’atteggiamento verso l’Ucraina; ha verificato che Putin è un osso molto duro e sfuggente e quindi si è piegato ad un riarmo ucraino seppure per interposta Ue (una sorta di triangolazione bellica), accontentandosi, si fa per dire, di vendere alla Ue il surplus di armi destinate all’Ucraina.
Trump aveva promesso di risolvere anche il conflitto israelo-palestinese, calmando i bollenti spiriti di Netanyahu e trovando una soluzione plausibile per i rimanenti palestinesi della striscia di Gaza.
Strada facendo ha dovuto far buon viso a cattiva sorte nei confronti dell’incontenibile aggressività israeliana e, dopo aver supportato in modo importante Netanyahu contro l’Iran, si è limitato a dialogare con Israele rilasciando a questo scomodo alleato la licenza di uccidere.
In estrema sintesi la politica estera americana si può definire come la politica del “materasso”: far pagare all’Europa enormi costi, atti a ridurre il debito americano, in termini di armi (oltre le armi all’Ucraina anche il 5% a carico dei Paesi Nato finirà per sostener l’industria bellica statunitense) e di indebolimento industriale.
Questa è la beffarda politica di pace di Trump a fronte della quale la pantomima europea è piuttosto penosa e inconcludente: capisco benissimo le difficoltà di una trattativa con un interlocutore inaffidabile che ha soltanto lo scopo di mettertelo in quel posto. Proprio per questo però bisognerebbe abbandonare la prospettiva di cure palliative che tanto assomigliano ad una poco dignitosa eutanasia di un Europa, smetterla cioè di “tirare a trumpare” per arrivare al dunque.
Un mio carissimo amico, quando gli si chiede come stia di salute, risponde laconicamente che si sopravvive. Mi pare la nitida fotografia della tattica europea nelle trattative con gli Usa: il coraggio i Paesi europei non ce l’hanno e non cercano minimamente di darselo. Sono sparpagliati e intendono solo limitare i danni in una logica che non ha niente di europeismo e tutto di nazionalismo. È un atteggiamento che porta inevitabilmente alla disonorevole e disastrosa sconfitta. Chi ha detto che non esistano alternative: l’Europa unita non è un’entità così facilmente snobbabile e/o dribblabile.
Mio padre, pur essendo di modestissime condizioni socio-economiche, progressivamente e laboriosamente migliorate nel tempo, quando adottava una qualsiasi decisione, non si faceva condizionare dal freno minimalista, ma tendeva sempre al meglio, dicendo: «Bizoggna fogäros in ‘t al mär grand».
Presentarsi uniti, fare massa critica, inserire il discorso dei dazi e delle armi nel rapporto complessivo con gli Usa da reimpostare e ridefinire: questa è l’unica strategia seria di largo e lungo respiro.
Non invidio chi deve presentarsi negli Usa a nome della Ue col cappello in mano, sapendo che c’è dietro l’Europa degli amici del giaguaro. Giulio Andreotti sosteneva cinicamente che fosse meglio tirare a campare piuttosto che tirare le cuoia: nell’attuale quadro politico internazionale le due opzioni sono perfettamente sovrapponibili.
Abbiamo fatto i furbi da gran tempo, pensavamo bastasse far finta di essere europei. Bisognerebbe procedere ad una inesorabile verifica all’insegna del “chi ci sta ci sta, chi non ci sta se ne vada…”. Invece temo che non ci creda e non ci stia (quasi) nessuno e allora non rimane che sperare da malvestiti che l’inverno trumpiano non sia così freddo come può sembrare.
L’altro giorno mi è capitato di seguire su Rai storia una trasmissione di “Passato e presente” dedicata a Francois Mitterand: l’Europa aveva un tempo personaggi di questo calibro, pieni di limiti, difetti ed errori, ma emblematici di una classe di governo carismatica ed autorevole, che saprebbe fronteggiare l’odierna emergenza con ben altro piglio rapportuale e ben altra capacità politico-diplomatica. Con essi Trump non avrebbe il tempo di fare il bullo, oggi invece si permette di prendere tutti per i fondelli giocandoseli l’un contro l’altro.