Il lapsus dannunziano

Il confronto è diventato ancora più teso quando Bocchino ha criticato duramente la segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein. «Non ha una proposta politica – ha dichiarato – si limita a ballare al Gay Pride e a inaugurare murales dedicati a Michela Murgia… ma chi se ne frega della Murgia, agli italiani serve altro». Parole che hanno scatenato la reazione indignata di Padellaro, che ha risposto con fermezza: «Non ti permettere. Michela Murgia è stata una grande scrittrice, morta di tumore. Se continui così, mi alzo e me ne vado». Nonostante i momenti di forte attrito tra i due relatori, e tra Bocchino e una parte del pubblico, l’incontro si è comunque concluso regolarmente. (open.line)

Il motto “Me ne frego”, tradotto letteralmente come “non me ne importa”, è un’espressione che divenne celebre durante il periodo fascista in Italia. Inizialmente, era un motto dannunziano, ripreso poi dalla retorica del regime per esprimere un atteggiamento di sfida e disprezzo verso le difficoltà e i pericoli, enfatizzando la volontà di non arrendersi e di andare avanti a tutti i costi.

Nel periodo   in cui mio padre lavorava da imbianchino come lavoratore dipendente si trovò ad eseguire un lavoro del tutto particolare, scrivere sui muri, a caratteri cubitali, motti propagandistici fascisti (“vincere” – “chi si ferma è perduto” – “me ne frego” – e roba del genere).

Al geometra che sovrintendeva, ad un certo punto, tra il serio ed il faceto disse: “Quand è ch’a gh’dèmma ‘na màn ‘d bianch?”.   “Beh”, rispose in modo burocratico, “per adesso andiamo avanti così, poi se ne parlerà. A proposito cosa dice la gente che passa?”.  Era forse un timido ed innocuo invito ad una sorta di delazione, ma mio padre, furbamente, non ci cascò ed aggiunse: “Ch’al s’ mètta ‘na tuta e ch’al faga fénta ‘d njent e ‘l nin sentirà dil béli “. La zona era infatti quella del Naviglio, autentico covo di antifascismo e papà mi raccontò come tutti quelli che passavano di lì, uomini, donne e bambini, le sparassero grosse anche contro di lui, senza tener conto del famoso detto “ambasciator non porta pena”.

Mio padre voleva dare una mano di bianco sui motti fascisti, Italo Bocchino approfitta dell’occasione per dare una mano di nero sul dibattito politico-culturale. Ognuno usa il colore che preferisce…

C’è poco da fare, il fascismo purtroppo uno ce l’ha dentro e non riesce a reprimerlo nemmeno di fronte ad una scrittrice morta di tumore, colpevole di considerare il governo Meloni come governo di stampo fascista. Se gli italiani aprissero gli occhi e le orecchie…

La risposta plausibile a tanti problemi l’ho trovata, pensate un po’, nella impietosa analisi che faceva mia sorella Lucia delle magagne del popolo italiano: siamo rimasti fascisti con tutto quel che segue. Sosteneva che gli italiani sono affascinati dall’ «uomo forte». Lei lo diceva con la sua solita schiettezza e in modo poco aulico ed elegante, ma molto efficace: «Gli italiani sono rimasti fascisti».

E oggi sono affascinati dalla donna forte!