Da ospedale da campo a clinica della religione

In questi giorni a livello mediatico (La 7 – Otto e mezzo) è stato posto il problema di eventuali ripercussioni terroristiche islamiche sui Paesi occidentali, europei in particolare, Italia compresa alla luce della persistente inerzia governativa in materia di Palestina ed Iran, che suona come tacito assenso ai comportamenti di Israele e degli Usa.

Preso atto del gioco meloniano, ormai ampiamente consolidato, a fare il pesce in barile, c’è da sperare che l’Italia non rientri comunque fra i nemici di prima fascia del mondo arabo-islamico.

Al riguardo un primo motivo di speranza è legato ad un passato fatto di rapporti diplomatici positivi e di aiuti verso i palestinesi e gli altri Stati ad essi legati: andiamo pure alla prima repubblica e agli anni dei governi Prodi e D’Alema. Un patrimonio di buoni rapporti, che viene scriteriatamente dilapidato e sacrificato sull’altare di una vomitevole piaggeria filo-americana e filo-israeliana.

A questa motivazione il professor Massimo Cacciari ne ha aggiunta una riguardante la presenza in Italia del Vaticano e della sua storica ed intelligente azione diplomatica volta a tenere conto delle ragioni della Palestina e di quella parte di mondo: l’unica istituzione che ha svolto nel tempo un ruolo positivo in cerca di accordi e assetti pacifici.

E allora mi è venuto un diabolico e peccaminoso sospetto: il cambio avvenuto a livello di papato potrà avere una qualche influenza sul discorso? Il pensiero di papa Francesco e quindi dei suoi collaboratori (da Parolin a Zuppi) era netto al riguardo, mentre quello di papa Leone e della curia che si va delineando è tutto da verificare: la continuità non è lapalissiana ed è evidente la corsa nazionale ed internazionale a dipingere papa Prevost come amico del giaguaro del moderatume, morbido nei confronti delle smanie tradizionaliste interne alla Chiesa e tacitamente tollerante e normalizzatore verso le folli esigenze del totale disordine portato a compimento dalla triade Putin-Trump-Netanyahu.

Nei governi degli Stati, quando la politica non riesce ad esprimere un’adeguata classe dirigente, si fa ricorso ai governi cosiddetti tecnici, che non sono né carne riformatrice né pesce conservatore, ma sussiegosi organismi di galleggiamento sui problemi. Temo che nella Chiesa cattolica, anziché fare ricorso ai carismi che disturbano (papa Francesco docet), si stia ripiegando su un papato tecnico, che smussi gli angoli più scoperti e diriga la baracca mettendo d’accordo tutti all’interno e non scontentando nessuno all’esterno. Per dirla facendo riferimento all’immagine cara a Bergoglio, si passa dall’ospedale da campo alla clinica della religione.

Brutalmente parlando, Leone XIV saprà tenere testa agli indietristi saliti prepotentemente sul suo carro? Saprà essere intransigente come Bergoglio verso gli ortodossi amici di Putin? Saprà resistere alle tentazioni degli sbandieratori antiabortisti che hanno ben poco a vedere con l’etica evangelica e molto da spartire con la reazione clericale funzionale al trumpismo? Saprà mantenere un profilo nettamente contrario alle guerre cosiddette giuste di Israele? Saprà parlare come deve mangiare un profeta che guarda al Vangelo e non alla “realecclesik”?

Dubbi atroci! Che lo Spirito Santo illumini papa Leone e c. nel ginepraio della pastorale ecclesiale e della politica internazionale. Alcuni vedono nell’incipit prevostiano una certa somiglianza con lo stile montiniano: altro carisma, altra sensibilità politica, altra intelligenza quella di Paolo VI. Forse l’unico punto di contatto è nella prudenza che purtroppo portò spesso papa Montini a non decidere. Dopo 13 anni di Bergoglio il non decidere è impossibile e mi auguro sia difficile relegare la religione in sagrestia (molti lo desiderano in buona o cattiva fede) a guardare il mondo che va a catafascio.

Avevo promesso solennemente a me stesso a ai miei lettori (ammesso e non concesso che ve ne siano) di individuare testardamente tutte le mosse papali contrarie all’eredità bergogliana, pronto a ricredermi in progress, a fare ammenda, a chiedere scusa, persino a gridare evviva papa Leone. Ne ho avuto una prima occasione che riporto di seguito con grande soddisfazione.

«È più facile combattere» le «vittime» che l’«immenso business» criminale. Leone XIV sceglie la Giornata internazionale contro la droga per denunciare le storture dei sistemi che cavalcano le paure facili e le false soluzioni. «Troppo spesso, in nome della sicurezza – sostiene il Papa – si è fatta e si fa la guerra ai poveri, riempiendo le carceri di coloro che sono soltanto l’ultimo anello di una catena di morte. Chi tiene la catena nelle sue mani, invece, riesce ad avere influenza e impunità».  «Il nostro combattimento – spiega Leone XIV – è contro chi fa delle droghe e di ogni altra dipendenza – pensiamo all’alcool o al gioco d’azzardo – il proprio immenso business. Esistono enormi concentrazioni di interesse e ramificate organizzazioni criminali che gli Stati hanno il dovere di smantellare». Da qui il monito. «Le nostre città non devono essere liberate dagli emarginati, ma dall’emarginazione; non devono essere ripulite dai disperati, ma dalla disperazione». E cita Francesco che nell’Evangelii gaudium scriveva: «Come sono belle le città che superano la sfiducia malsana e integrano i differenti, e che fanno di tale integrazione un nuovo fattore di sviluppo».

Leone XIV indica «la cultura dell’incontro come via alla sicurezza» e «ci chiede la restituzione e la redistribuzione delle ricchezze ingiustamente accumulate, come via alla riconciliazione personale e civile». Poi delinea un’agenda di impegno. «La lotta al narcotraffico, l’impegno educativo tra i poveri, la difesa delle comunità indigene e dei migranti, la fedeltà alla dottrina sociale della Chiesa sono in molti luoghi considerati sovversivi».

Leone XIV richiama ancora il suo predecessore rivolgendosi al “popolo” che ha scelto di lottare contro la droga. «Ricordo che quando Papa Francesco entrava in un carcere, anche nel suo ultimo Giovedì Santo, si poneva sempre quella domanda: “Perché loro e non io?”». (dal quotidiano “Avvenire”) 

Sto seguendo seppure in modo molto superficiale l’attività di papa Leone XIV: è un papa senza evidente carisma. Abituati al torrente in piena di Bergoglio, ci dovremo abituare ad una Chiesa meno papacentrica. Alla sua carenza di appeal suppliscono i media che ne seguono le mosse in modo apertamente strumentale, quelli di regime e di destra (Il Giornale in particolare) che hanno tirato un sospiro di sollievo e che gli stanno facendo un gran brutto servizio riducendolo ad un pontefice indietrista. L’intelligenza non gli manca e quindi se ne sarà sicuramente accorto. Il mio amico Pino dice che deve stare attento a non farsi intortare da Giorgia Meloni e c. Ma poi, chi sono io per giudicare e dare consigli ad un papa?