La proposta. Un ministero della pace è necessario. A guidarlo dovrebbe essere una donna. Dare un nome così impegnativo a un incarico di governo significherebbe fare qualcosa di profetico, in tempi di guerra. Dare un incarico a una figura femminile lo sarebbe ancora di più.
Le guerre sono tornate dentro casa, anche se facciamo finta che riguardino solo gli altri, e noi interpretiamo la parte comoda di chi invia soltanto armi di difesa o di chi aumenta l’arsenale militare per prudenza. Quelle guerre che, almeno in Europa, pensavamo di aver consegnato ai soli libri di storia, sono invece tornate dentro i giornali e le cronache, dentro i temi dei nostri figli a scuola. Da qui una prima domanda: non sarebbe opportuno o necessario cambiare almeno il nome dell’attuale Ministero della difesa in “Ministero della difesa e della pace”? Così, dopo la prima trasformazione da Ministero della guerra a Ministero della Difesa, oggi, in un tempo tornato drammaticamente bellico, si potrebbe fare un passo culturale ed etico nella sola direzione giusta, con un umile cambiamento del nome.
Ma si potrebbe fare ancora qualcosa di più e di davvero profetico: prendere molto sul serio la Campagna per l’istituzione di un Ministero della pace, originariamente lanciata negli anni Novanta da Don Oreste Benzi, poi rilanciata su queste pagine qualche mese fa da Stefano Zamagni (in questo buon allievo di Don Oreste), e oggi fatta propria da diverse associazioni. Cosa c’è di più opportuno e necessario di questo nuovo ministero? La politica ha altro in mente, lo vediamo, e così firma la richiesta Nato di riarmo, rispondendo in modo sbagliato alla nostra stessa preoccupazione. Solo una campagna che diventa prima palla di neve e poi valanga potrà ottenere ciò che oggi appare solo desiderio o utopia. Perché, lo sappiamo dalla storia, quando la realtà raggiunge e supera una invisibile soglia critica, essa rivela una sua disciplina assoluta che si impone sopra tutte le ideologie e gli interessi di parte.
Come dovrebbe funzionare un tale Ministero? Quali i suoi uffici e dipartimenti? Quali le sue competenze? Tutto questo si vedrà, ma ora occorre solo continuare la campagna, a tutti i livelli. Perché, come amava dire Don Oreste, «le cose belle prima si fanno e poi si pensano». E cosa c’è di più bello della pace? In ogni tempo, in ogni luogo, nel nostro tempo?
Infine, il ministro di questo nuovo Ministero dovrebbe essere una donna. La Bibbia è piena di “donne di pace” (alle quali Avvenire ha dedicato una lunga campagna giornalistica, ndr) che hanno saputo usare il loro talento relazionale per evitare potenziali conflitti. Abigail, l’anonima donna di Tekòa, la regina Ester. Donne sapienti che riuscirono ad evitare guerre con le loro parole diverse, con un logos di pace. Forse perché da piccoli ci insegnano a trasformare i primi suoni e rumori in parole, perché nutrono i loro bambini con latte e storie, o forse perché per migliaia di anni, sotto le tende, si scambiavano soprattutto parole di vita. Forse per tutto questo e certamente per altro ancora, le donne sanno spesso parlare di pace diversamente e meglio degli uomini. Soprattutto sanno cercare, creare, inventare parole che non ci sono ancora, ma che devono assolutamente esserci per continuare a vivere. Una donna ministra della pace. Magari una madre, perché la storia della pace e delle guerre dovrebbero scriverla soltanto le madri. (“Avvenire” – Luigino Bruni, Vicepresidente Fondazione The Economy of Francesco)
Un tempo si diceva che se non vuoi affrontare e risolvere un problema devi istituire una commissione al riguardo. Non vorrei che finisse così anche per i ministeri: ce ne sono tanti, forse troppi, e si ha l’impressione che siano istituzioni burocratiche molto lontane dalla sostanza dei problemi. Tutto dipende da chi li regge. L’importanza di una qualsiasi istituzione non dipende dal nome e nemmeno dallo statuto, ma da chi ne porta avanti e valorizza la funzione.
Le dotte motivazioni portate da Luigino Bruni per l’istituzione del ministero della Pace sono serie e rispettabili, ma non mi convincono: sanno tanto di specchietto per le allodole, di alibi demagogico per coprire istituzionalmente le malefatte politiche.
“Vestissa ‘n päl e ’l parrà ‘n cardinäl”, dice un proverbio dialettale parmigiano. L’istituzione del ministero della pace appare come un’operazione di pura cosmesi democratica se non viene accompagnata da una profonda revisione politica basata sull’inequivocabile dettato costituzionale: l’articolo 11 della Costituzione italiana ripudia la guerra come strumento di offesa e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, promuovendo un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni. C’è già dentro tutto! L’obbligo di evitare la guerra così come viene anche oggi portata avanti, per segnare i rapporti di forza tra le nazioni e per impostarli in modo unilaterale, totalmente al di fuori di un ordine internazionale che favorisca la pace e la giustizia.
Quando si costruisce una casa, si comincia dalle fondamenta e non dal tetto. Capisco come nel vuoto politico possa venire il desiderio di cercare qualche scorciatoia che ci costringa a cambiare strada, ma, se non cambia la meta del viaggio, rischiamo di girare a vuoto.
La proposta, poi, di un ministro della pace donna risponde ad un sacrosanto principio: le donne devono avere accesso alle più alte, importanti e delicate cariche dello Stato. Ma, come sostiene autorevolmente Edith Bruck, l’accesso di una donna ad una funzione pubblica rilevante non è un bene in sé. “Anzi, spesso, nei posti di vertice, le donne diventano peggiori degli uomini, tendono a volerli superare e fanno peggio di loro”. Questa è forse la mia più grande delusione socio-politica: speravo che la donna potesse sbloccare tante situazioni di ingiustizia e di guerra, invece…
Le guerre le vincono sempre coloro che le dichiarano (e sono prevalentemente se non esclusivamente uomini, mentre le perdono sempre coloro che le subiscono (e sono soprattutto donne). Sarebbe molto interessante innescare qualche meccanismo che rompa questo macabro equilibrio. Portare le donne sic et simpliciter nelle belliche stanze dei bottoni potrebbe cambiare qualcosa di rilevante? La pace e la guerra non sono categorie inquadrabili nell’appartenenza a uno dei due sessi dal punto di vista culturale. Magari fosse così… La pace e la guerra sono invece riconducibili indistintamente ai due sessi, ne costituiscono purtroppo un tratto comune.
Ditemi cosa portano di sapienza femminile Ursula von der Leyen e Giorgia Meloni? Un autentico spreco del patrimonio culturale delle donne! Mi dispiace doverlo ammettere, ma queste gentili signore hanno ruoli ben più rilevati di un eventuale ministro della pace e non fanno nulla per distinguersi dalla deriva egoistica in cui anche l’Europa sta sprofondando. Come sono solito drasticamente affermare, le donne non si sono tanto preoccupate della parità dei diritti, ma si sono accontentate di raggiungere la parità dei difetti.
Se non avessi grande stima per i proponenti, sarei portato a considerare il ministero della Pace come un elegante diversivo per continuare tranquillamente a portare avanti politiche di guerra. Tutto può servire alla causa della pace, ma non facciamo finta che…