La briciolona di Bezos stuzzica l’appetito di giustizia

Il filosofo Massimo Cacciari è stato sindaco di Venezia per 12 anni. E oggi in un’intervista a Repubblica dice la sua sul matrimonio di Jeff Bezos nella città lagunare. Partendo da una presa di posizione ben precisa: «Non me ne frega niente. Se fossi ancora sindaco ignorerei mister Amazon e non l’avrei invitato». Riguardo al presunto merito di accendere i riflettori del mondo sull’agonia della città, secondo Cacciari è «falso, sono sicuro che nessuna luce brilli e che del nostro destino non interessi nulla a nessuno». Ma il problema è «la montagna di sciocchezze che si dicono per confondere le acque».

Secondo l’ex primo cittadino «se si infilano in un frullatore Bezos, Venezia, le guerre, Trump, le ingiustizie, la distruzione del pianeta, il capitalismo, l’evasione fiscale, l’overtourism, il lusso e via elencando, esce un liquido in cui nulla è più distinguibile. La confusione mira a impedire la comprensione dei problemi». In questa gara il peggiore è «il presidente del Veneto Luca Zaia. Ha attaccato l’Anpi, critica verso Bezos, ponendo sullo stesso piano mister Amazon, i suoi ospiti e lo sbarco degli americani che hanno liberato Europa e Italia dal nazifascismo. Sarebbe una barzelletta, o la conferma che all’idiozia non ci sono più limiti. Zaia però conosce la storia e dunque le sue parole da una parte segnalano che la classe dirigente dell’Occidente si è bruciata il cervello: dall’altra sono la prova dell’esistenza di un disegno deciso a smantellare i valori e i diritti democratici fondati sulla resistenza alle dittature».

Bezos invece «è qui per confermare che Venezia la si aiuta solo a patto che accetti di essere il palcoscenico a disposizione di chi ha bisogno di visibilità, o di ostentare il proprio potere. Chi falsifica questa realtà ricorda i folli proclami sull’Europa». Mentre da decenni la sinistra «lascia via libera ai neo-liberisti. Scopre a Venezia il loro disastro? Mille persone possiedono il doppio del Pil italiano: ai No Bezos voglio bene, ma le loro manifestazioni sono impotenti. Alla fine li contesta proprio chi è vittima del sistema che loro denunciano: quello che oggi permette la sopravvivenza a chi si era invece sempre sentito protetto dalla solidarietà».

I 3 milioni di donazione promessi da Bezos infine sono «briciole sparse perché detraibili dalle tasse grazie alle Fondazioni. Venezia nemmeno se ne accorge». Ma il denaro «è l’ultimo dio dell’umanità e se parliamo di oro Venezia non è un’isola. Ma se l’oro è dio, il muro della democrazia crolla. Il matrimonio veneziano di Bezos non può essere aperto e democratico: per questo dimostra che mattone dopo mattone il muro sociale dell’Occidente viene giù». (open.online)

Mio padre su questa vicenda di ricchi epuloni, che lasciano cadere qualche briciolona dalle loro tavole per i poveri mortali, sa la caverebbe con un semplice “Chi el lilù?”, riferito a Bezos, proprietario di Amazon. Reazione analoga a quella di Massimo Cacciari! Come (quasi) sempre, il filosofo coglie nel segno.

Eravamo nei primi mesi del 1969, avevo in tasca un fresco e brillante diploma di ragioniere, avevo appena cominciato a lavorare al centro elaborazione dati della Barilla, ero stato assunto in prova, c’era lo sciopero generale di solidarietà per i dipendenti della Salamini, azienda che stava per fallire. Ricordo con emozione il caso di coscienza che mi si poneva: aderire allo sciopero comportava qualche rischio non essendo ancora dipendente a titolo definitivo, gli stessi sindacalisti interni mi avevano concesso di comportarmi liberamente, i colleghi anziani facevano strani discorsi sull’opportunità di uno sciopero a loro avviso inutile, gli impiegati più scettici temevano di danneggiare ingiustamente la Barilla per colpa della Salamini. Il signor Barilla per loro era un benefattore dell’umanità e non lo si doveva disturbare.

Credevo nel sindacato, nella solidarietà tra lavoratori, nello sciopero come diritto e come strumento di lotta, mi importava dei lavoratori della Salamini, i quali stavano rischiando il loro posto, e non mi preoccupava il fatto di creare problemi al mio datore di lavoro disturbandone la verve benefica.

Alla fine andai a lavorare col “magone” dribblando il cordone sindacale posto all’ingresso della fabbrica. In un certo senso aveva vinto l’egoismo anche se gli stessi sindacalisti non avevano preteso da me un atto di coraggio.

Mi è tornato alla mente questo piccolo episodio della mia vita in concomitanza con la smodata ostentazione del benefico lusso spacciato per manifestazione del moderno sociologismo solidaristico.

Credo che Venezia e il mondo non abbiano bisogno di pur grosse pelose elemosine: questa è la giustizia dei ricchi! Non solo la loro mano sinistra, ma le mani sinistre del mondo intero, sanno quel che fa di buono (?) la loro mano destra.

Abbiamo bisogno di altro…

«Dobbiamo rilanciare l’etica della condivisione. E per etica della condivisione non intendo la condivisione del superfluo, ma una vera equità che parta dalla ridistribuzione di beni e risorse che non dovranno più essere nelle mani di pochi. Solo ad armi pari si potrà avere anche un’autentica meritocrazia. La redistribuzione dei dividendi non può che avvenire sull’esempio di Gesù che accoglie i poveri a tavola, con la loro dignità umana riconosciuta e valorizzata. Per me non c’è altra via: chi possiede molto deve dare a chi non possiede nulla. Gesù ci sprona a una solidarietà rivoluzionaria e a costruire un modello di società in cui la persona è al centro: l’uomo, la donna, il cittadino sono i sovrani, e non il mercato. Oggi pare siamo diventati sudditi del mercato» (don Andrea Gallo).

È molto pericolosa la bigotta legittimazione dell’ingiustizia così come la provocante ostentazione del lusso. Sono effettivamente la ciliegina sulla torta della confusione che, come sostiene Cacciari, impedisce la comprensione dei problemi.

Ricordo quando mi recavo all’Arena di Verona in estate per godere spettacoli d’opera indimenticabili. All’ingresso della platea si venivano a creare due vere e proprie ali di folla: erano i curiosi che “sgolosavano” al passaggio dei “vip” eleganti e famosi. I poveri senza dignità: piuttosto andatevene a casa e canticchiate l’opera lirica per tutta la sera, ma fregatevene dei ricchi e non invidiateli.

“Panem et circenses” è una locuzione latina che significa “pane e giochi (circensi)”. È una frase attribuita al poeta romano Giovenale, che la usò nelle sue Satire per criticare il modo in cui i governanti romani mantenevano il controllo sulla popolazione, offrendo cibo e intrattenimento (come i giochi nel circo) invece di affrontare i problemi reali. La storia si ripete con le moderne armi della distrazione di massa utilizzate a più non posso. Da una parte la “distruzione” di massa operata con le guerre, dall’altra la “distrazione” di massa operata anche dai Bezos di turno.

E chi protesta viene immediatamente emarginato e compatito se non addirittura criminalizzato. Il mondo va così…Guai a chi vuole scendere dal treno! Forse è vero, come afferma Cacciari, che la protesta si rivela impotente. E allora? Ci hanno tolto persino il gusto di gridare contro l’ingiustizia, scatenando la guerra fra i poveri che chiedono giustizia e quelli che si illudono di ottenerla da Bezos.