In un clima di incertezza globale, Donald Trump tiene in bilico l’economia globale. Dopo un fine settimana di pressioni diplomatiche, il presidente statunitense ha annunciato che prorogherà fino al 9 luglio il termine per l’Unione Europea prima che vengano applicati dazi del 50%. È il frutto del colloquio telefonico avuto nel weekend con la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen. «Abbiamo avuto una conversazione molto piacevole e ho accettato di posticipare la scadenza», ha detto Trump domenica ai giornalisti all’aeroporto di Morristown, nel New Jersey, mentre era diretto a Washington. (da Milano Finanza)
Una corte federale americana blocca temporaneamente i dazi di Donald Trump, definendoli «illegali» e stabilendo che il presidente non ha l’autorità di imporre tariffe globali. Lo riportano i media americani, citando la decisione della Us Court of International Trade. La reazione dell’amministrazione Trump non si è fatta attendere. La Casa Bianca ha fatto sapere che presenterà appello, innescando uno scontro giudiziario che potrebbe finire all’attenzione della Corte Suprema Usa, lasciando ai saggi un caso di alto profilo che potrebbe avere un impatto di migliaia di miliardi sull’economia mondiale. (da Unione Sarda).
La Corte d’appello ha deciso di consentire che i dazi restino per ora in vigore. Il presidente Trump ha vinto in appello il primo ricorso contro lo stop alle tariffe. (da televideo)
Elon Musk volta pagina e torna alle sue aziende, Tesla in primis. Dopo mesi di presenza al fianco del presidente Donald Trump, il patron di Tesla e SpaceX ha annunciato il proprio addio all’amministrazione americana, mettendo fine al suo controverso ruolo alla guida del Doge – il dipartimento per l’efficienza governativa creato su misura da Trump per affidargli il compito di ridurre gli sprechi federali. Dietro le righe del congedo si intravede una frattura. In un’intervista rilasciata alla Cbs, Musk ha apertamente criticato la legge di bilancio proposta dall’amministrazione Trump, definendola «una proposta di spesa francamente deludente, che aumenta il deficit federale». Il riferimento è al maxi-disegno di legge attualmente al vaglio del Congresso, fortemente voluto da Trump per finanziare promesse elettorali come l’estensione dei crediti d’imposta, ma che – secondo un’analisi dell’agenzia di bilancio del Congresso – potrebbe far crescere il disavanzo federale di 3.800 miliardi di dollari nel prossimo decennio. L’addio di Musk rappresenta la prima vera crepa pubblica in un’alleanza che fino a poche settimane fa sembrava granitica. Dall’insediamento del secondo mandato Trump a gennaio, il fondatore di Tesla era stato onnipresente: nello Studio Ovale, a bordo dell’Air Force One, in eventi stampa alla Casa Bianca. Sempre in prima fila accanto al presidente, soprattutto quando si trattava di annunciare tagli agli aiuti esteri o riorganizzazioni delle agenzie federali. (da Milano Finanza)
Lunedì il presidente statunitense Donald Trump ha detto che il presidente russo Vladimir Putin è «completamente IMPAZZITO», dopo che durante il fine settimana la Russia ha compiuto il più grande attacco aereo sull’Ucraina per numero di armi utilizzate dall’inizio della guerra. In un messaggio sul suo social, Truth, Trump ha scritto che Putin sta «uccidendo inutilmente molte persone», lanciando droni e missili sulle città ucraine «senza alcun motivo», e che il suo tentativo di conquistare tutta l’Ucraina porterà alla fine della Russia. Gli attacchi russi sui civili ucraini avvengono in realtà dall’inizio della guerra e non c’è stato alcun cambiamento nella strategia di Putin. Le parole di Trump mostrano però il suo Progressivo allontanamento dal presidente russo, con cui ha sempre detto di avere un «ottimo rapporto», e una crescente frustrazione da parte dell’amministrazione statunitense nei confronti della Russia. (da Il POST)
Si tratta di un pazzesco zibaldone di contraddizioni provenienti da un personaggio che, volenti o nolenti, ha nelle sue mani gran parte dei destini dell’umanità. I casi sono due: o tutto rientra in una perfida sfida all’O.K. Corral oppure questi tira e molla dimostrano che il diavolo insegna a fare le pentole e non i coperchi.
Gli americani se lo sono voluto e se lo tengono più o meno stretto, noi lo abbiamo ricevuto in dono da Oltre Atlantico e in qualche modo ce lo dobbiamo tenere. In 24 ore non doveva risolvere il conflitto russo-ucraino? Con la politica dei dazi non doveva sconvolgere i rapporti commerciali col mondo intero?
Sul fronte ucraino è riuscito soltanto a portare Zelensky (il modo ancor l’offende) a più miti consigli. Putin è un osso duro, è molto più furbo di lui: sarà una gara dura mettergli il guinzaglio.
I dazi si stanno rivelando un boomerang: forse, tutto sommato, più per necessità che per virtù, gli eventi paradossalmente stanno dando ragione all’Unione europea che fa il pesce in barile in attesa dell’implosione americana.
In campo internazionale devo ammettere, e me ne vergogno, di fare il tifo per la compagnia di merende Putin-Xi Jinping: tra i delinquenti preferisco quelli intelligenti rispetto a quelli stupidi (come Trump).
Quanto a Musk, l’ignobile connubio non poteva durare molto: l’economia, seppure rivestita con l’abito della festa tecno-mediatica, tiene in scacco la politica e i suoi falsi poteri. Forse Marx non aveva tutti i torti…
Di tutte le cazzate messe in campo da Trump quella che mi preoccupa di più è tuttavia il tentativo di mettere le mani sulle istituzioni culturali come l’università di Harward, cancellandone l’autonomia: qui siamo al regime vero e proprio.
Dopo aver fatto la voce grossa sugli stranieri che vengono a studiare nelle università d’elite e minacciato un’”aggressiva” stretta su quelli provenienti dalla Cina, Donald Trump incassa una nuova sconfitta in tribunale: nel giorno delle lauree di Harvard, l’ateneo bersaglio numero uno della campagna della Casa Bianca contro l’indipendenza del sistema accademico, la giudice di Boston Allison Burroughs ha nuovamente bloccato l’ordine dell’amministrazione che avrebbe cancellato i visti degli studenti internazionali dell’ateneo. (dal Quotidiano Nazionale)
Non resta che votarsi alla magistratura americana ed alla sua relativa e scomposta indipendenza: un monito per quanti in Italia stanno tentando di imbrigliare i giudici condizionandone l’autonomia. Berlusconi lo faceva con più eleganza, ma comunque il gattone, che andava al lardo, ci lasciò lo zampino. La rozzezza dei governanti attuali lascia ben sperare anche se picchia oggi picchia domani…