Uniti sì, ma contro la Meloni e c.

Un’opposizione al governo, di fatto, esiste già ed è quella portata avanti dalla minoranza parlamentare. Curiosamente la parabola seguita da Landini in questi anni è stata, nel metodo, esattamente opposta rispetto a quella portata avanti dalla segretaria del Pd, Elly Schlein, che si è sempre professata «testardamente unitaria». Mentre la leader del Nazareno ha fatto di tutto per unire, con molta fatica, il centrosinistra, dal Partito democratico a Italia Viva e ai Cinque stelle, fino al fianco sinistro di Alleanza Verdi sinistra, il segretario del sindacato è sembrato più voler dividere, facendo venir meno la linea della tradizionale unità sindacale: prima ha perso sintonia con la Cisl, poi con la Uil. Anche l’iniziativa di oggi è stata condotta in solitaria. In una fase come questa, la mancanza di coesione tra le organizzazioni sindacali pesa. (“Avvenire” – Diego Motta)

Lo sciopero del 12 dicembre scorso pone due problemi peraltro piuttosto frusti, vale a dire se il sindacato abbia un ruolo politico e se debba essere unitario.

Tutto è politica, figuriamoci se l’azione sindacale, anche e soprattutto col ricorso allo sciopero, non lo sia. Le battaglie sindacali devono essere contestualizzate nel quadro politico e quindi assumono per forza di cose una valenza politica anche perché in una società democratica la politica non è riservata ai partiti, ma si esprime anche a livello delle forze intermedie e della società civile. In questa tormentata fase storica, in cui il gioco democratico viene sempre più pericolosamente ristretto, si sente il bisogno di una forte ripresa del discorso politico a tutti i livelli e in tutti gli ambiti. Ben venga quindi l’invasione di campo da parte del sindacato con la mobilitazione dei lavoratori sui temi politici scottanti: non è colpa del sindacato se le minoranze parlamentari fanno solo il solletico all’attuale governo e sembrano più intente a guardarsi l’ombelico che a puntare il dito.

Altro mantra culturale è quello dell’unità del sindacato.  È naturale che l’unione faccia la forza anche se mio padre osava mettere ironicamente in discussione questo luogo comune. Amante dei proverbi e dei modi di dire, riusciva anche in questo campo a mettere il proprio grano di sale. Era solito citare due proverbi: “chi fa da sè fa per tre” e “l’unione fa la forza”. Aggiungeva: “E l’ora cme s’à da far?”. Non aveva tutti i torti, perché l’unità, anche quella sindacale, non è un valore assoluto a cui sacrificare le proprie specificità, ma una scelta tattica.

Qualcuno infatti teorizza il “marciare separati per colpire uniti”: è una massima strategica, che significa coordinare azioni tattiche e strategiche in modo indipendente (separati) per concentrare la forza e ottenere un impatto decisivo (colpire uniti) al momento giusto, applicabile sia in ambito militare che politico o sociale per superare divisioni e ottenere un obiettivo comune.

Dissacriamo quindi il valore dell’unità sindacale subordinandolo alla ricerca di valori e finalità comuni. Non credo che in questo frangente la mancanza di unità fra i sindacati dei lavoratori sia dovuta alla fuga in avanti e ad un eccessivo protagonismo politico della CGIL e del suo leader Maurizio Landini a scapito delle altre sigle. Vedo piuttosto come una certa parte del mondo sindacale, soprattutto quello di ispirazione cattolica, sia stato irretito in una scomposizione sostanzialmente reazionaria della società portata avanti, all’insegna del moderatume, dalla destra meloniana. Il “Dio, patria e famiglia” fa proseliti dappertutto anche tra i lavoratori…

Viviamo un momento storico in cui è necessario schierarsi e non ci si può permettere il lusso di tenere atteggiamenti attendisti e possibilisti. Ecco perché non capisco i tentennamenti di Cisl e Uil così come di molte altre forze sociali cosiddette intermedie.

In questo periodo mi sono ripetutamente chiesto come possa (ri)nascere una sinistra cattolico-laica che riesca a giubilare il PD e a prescindere dalle schermaglie tra Schlein e Conte, tra Renzi e Fratoianni etc. etc. Ho concluso, si fa per dire, che dovrebbe nascere da gente preparata e onesta, competente e piena di pathos. Landini, se stesse più “calmo”, sarebbe lui il leader della sinistra. Occorrono personaggi che parlano credibilmente di problemi concreti: sanità, lavoro, equità fiscale, etc. È così che si riporta il popolo della sinistra a partecipare, protestare e votare. Forse Landini è troppo focoso per essere il leader di una sinistra ideale e nello stesso tempo pragmatica? E allora teniamoci la confusione ideologica di Elly Schlein, l’opportunismo doroteizzante di Giuseppe Conte, il protagonismo esibizionistico di Matteo Renzi e poi, come dice Michele Serra, andiamo a Lourdes…

Mio padre per dissacrare il rito degli auguri raccontava la gustosa barzellettina di quel bambino che, in un linguaggio equivoco tra italiano e dialetto parmigiano, terminava la poesia di Natale con: «…e tanti ingurij al papà…». Al che il padre rispondeva: «Sì, e un m’lon in tla schén’na a tò mädra…». Ed eccone la versione anti-sindacale:”Tanti ingurij aj italiàn e ‘na m’lonna (una Meloni) in tla schén’na ai lavoradôr”.