L’indipendenza e il pluralismo dell’informazione sono altrettanti pilastri essenziali per una democrazia autentica. Per questo, la preoccupazione non può essere soltanto quella di salvaguardare i posti di lavoro. Diceva giusto un anno fa il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: «È necessario sostenere il pluralismo, nelle articolazioni sociali come nell’informazione, non affidando soltanto alle logiche di mercato quel che è prezioso per la qualità della convivenza e per una piena cittadinanza». (“Avvenire” – Gerolamo Fazzini)
È lacrimevolmente coccodrillesca la discussione intorno alla vendita delle attività del gruppo Gedi, di cui fanno parte Stampa e Repubblica, a Kyriakou, un imprenditore greco – in Italia quasi sconosciuto, mentre in Grecia è una figura di primo piano – erede di una storica famiglia di armatori, che guida oggi un vasto conglomerato attivo nei media, televisioni, radio, editoria, musica, con interessi anche in Polonia, Romania, Regno Unito e Stati Uniti.
Il discorso di fondo riguarda il ruolo del mercato in una società democratica: ci siamo rassegnati o addirittura genuflessi ai meccanismi mercatali e poi ci preoccupiamo degli effetti. Come può una politica sempre più succube dell’impero mediatico, a cui si affida per essere letteralmente inventata e ottenere consensi e appoggi, portare avanti un’azione positiva nel campo dell’informazione? Come può la mano pubblica difendere la società dagli abusi di un camaleontico capitalismo sempre più avvolgente e condizionante? Come può un Parlamento legiferare e un Governo amministrare in modo da evitare gli effetti distorsivi di un sistema che intacca i diritti dei cittadini fra cui il sacrosanto diritto ad un’informazione corretta?
Questa dovrebbe essere la sfida portata avanti dal riformismo della sinistra. Questa è la filosofia della nostra Costituzione. Questa è la problematica fondamentale per una società democratica.
I conservatori si rassegnano alle contraddizioni, i reazionari ci guazzano dentro, i rivoluzionari si illudono di risolverle in nome di una democrazia sostanziale che rinuncia alla democrazia formale, i riformisti dovrebbero eliminarle costruendo una società basata sulle più profonde aspirazioni del cuore umano: la pace, la giustizia, l’uguaglianza fra le persone e fra i popoli.
Senonché molti parlano di pace e preparano la guerra; firmano trattati e già pensano a ingannarsi; sprecano paroloni in favore degli affamati e bruciano incenso al consumismo; predicano la giustizia e non sanno pronunciare una parola di perdono; cantano inni al pluralismo e al multilateralismo e si piegano sistematicamente alla legge del più forte.
Un giornale esprime una comunità; rappresenta un pezzo di storia del Paese; svolge un ruolo insostituibile nel dibattito pubblico, al di là del suo orientamento ideale e politico; costruisce relazioni solide con il suo pubblico e con il territorio di riferimento. Insomma: un giornale è un ineliminabile presidio sociale e culturale. Ecco perché – per una volta – governo e opposizione su questa vicenda sembrano esprimere preoccupazioni bipartisan. (ancora “Avvenire” – Gerolamo Fazzini)
Mia sorella Lucia, tra le bonarie critiche che mi rivolgeva, inseriva, in modo caricaturale, la mia tendenza all’ansia: mi definiva simpaticamente “l’eterno preoccupato”. Con il progredire dell’età questa mia caratteristica si sta accentuando e rischia di passare da sofferto stimolo al miglioramento a pericolosa spinta alla rassegnazione.
Ecco perché non mi fido delle preoccupazioni del poi. Ancor più se sono bipartisan. Preferisco gli impegni del prima, meglio se divisivi, quando forse è ancora possibile evitare il disastro o almeno prevenire l’impatto dei meccanismi del mercato.
Esigo che la politica punti ad una solidarietà rivoluzionaria e a costruire un modello di società in cui la persona è al centro: l’uomo, la donna, il cittadino siano i sovrani, e non il mercato. Oggi siamo diventati schiavi del mercato e sudditi di un’informazione stravolgente e fuorviante. I regimi autoritari di destra e di sinistra puntano a controllare rigorosamente i media, mentre i sistemi democratici accettano di farsi guidare dai media.
Pensiamo al berlusconismo che è stato ed è tuttora emblematico di questa stortura sistemica. Pensiamo alla città di Parma dove vige il monopolio dell’informazione in mani saldamente confindustriali.
Pensiamo alla televisione perché mantiene una solida leadership tra le fonti di news cui si abbeverano gli italiani. Pensiamo alla televisione italiana pubblica che scimmiotta quella privata e si limita a fare da cassa di risonanza ai governanti di turno. Non esiste pluralismo delle fonti di informazione, esiste soltanto il pluralismo delle spazzature televisive.
La carta stampata o informatizzata concede un po’ di respiro critico al lettore e quindi che due quotidiani importanti del nostro Paese finiscano in mani oscure sparge ulteriore pioggia sul bagnato.
Ricordo che mio padre, per sintetizzarmi in poche parole l’aria che tirava durante il fascismo, per delineare con estrema semplicità, ma con altrettanta incisività, il quadro che regnava a livello informativo, mi diceva: se si accendeva la radio “Benito Mussolini ha detto che…”, se si andava al cinema con i filmati luce “il Capo del governo ha inaugurato…”, se si leggeva il giornale “il Duce ha dichiarato che…”. Tutto più o meno così ed è così, in forme e modi più moderni, ma forse ancor più imponenti, sofisticati e subdoli, anche oggi.
Guarda caso ad essere nel mirino delle spregiudicate operazioni di mercato sono proprio due quotidiani non allineati agli indirizzi attuali della politica italiana. Ecco perché mi fanno sorridere le preoccupazioni bipartisan. Tuttavia non c’è via di scampo se non nel segno di un vero riformismo a monte. Non dimentichiamo infatti che il capitalismo ha i secoli contati.
