La «ferma condanna» di Sergio Mattarella non spegne la polemica sull’assalto pro-pal alla redazione della Stampa, che deflagra definitivamente dopo il commento di Francesca Albanese, relatrice Onu per la Palestina. Mentre proseguono le manifestazioni contro il provvedimento di espulsione ai danni dell’imam di Torino, Mohamed Shahin, parte delle “ragioni” addotte dai responsabili per l’irruzione negli uffici del quotidiano. Albanese, in realtà, ha condannato con decisione la violenza ai danni del giornale torinese («occorre giustizia per quello che è successo»). Ma ha anche auspicato che quanto avvenuto venga preso come un monito dai giornalisti che «non fanno il proprio lavoro» e riportano notizie «senza un minimo di analisi e contestualizzazione». «Perché non avete coperto quello che è successo a Genova e in altre città italiane? Sono in tantissimi a essere scesi in piazza – ha incalzato a margine di un evento del Global movement to Gaza per la Giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese –. Il genocidio continua anche grazie a questo silenziamento della verità. Non è normale che la stampa non stia raccontando cosa succede in Palestina dal giorno del cessate il fuoco». (da “Avvenire” – Matteo Marcelli)
Alla notizia dell’assalto alla redazione de “La Stampa”, nel mio piccolo, ho reagito facendo lo stesso ragionamento di Francesca Albanese. È inutile nasconderlo: sul massacro israeliano ai danni del popolo palestinese siamo succubi di una narrazione molto parziale e faziosa, quella che fa risalire tutte le responsabilità all’attacco di Hamas. I media, chi più chi meno, ci forniscono una versione sostanzialmente di parte e subdolamente filo-israeliana.
Non scandalizziamoci più di tanto quindi se qualcuno reagisce scompostamente, sbagliando magari il bersaglio, lanciando sbrigativamente pietre contro chi non è tuttavia senza peccato e rischiando di cadere nella protesta indistinta e violenta.
Basti pensare ai vergognosi distinguo fra genocidio e massacro, basti guardare a come Benjamin Netanyahu continui imperterrito a pontificare e a bombardare, basti fare riferimento a tutti i se e i ma occidentali di fronte alla carneficina nella striscia di Gaza, basti prendere atto delle scarsissime iniziative europee contro questa folle, cinica e, per certi versi, persino masochista vendetta israeliana.
I contestatori non vanno per il sottile, sparano nel mucchio mediatico e forse sbagliano il bersaglio, ma la loro reazione è comprensibile anche se giustificabile solo dal punto di vista emotivo. Di fronte al massacro dei palestinesi è certamente esagerato assaltare la sede di un giornale, ma è altrettanto inaccettabile il (quasi) silenzio dei governanti occidentali e italiani così come la versione a dir poco faziosa di certi media (non tutti, ma molti).
Non accetto quindi la strumentale criminalizzazione della contestazione, speculando sulla violenza di alcuni gruppi: non sono mai stato e non sarò mai un violento, credo che alla violenza si dovrebbe reagire con la forza della ragione, anche se, come dichiara Francesca Albanese, il silenziamento della verità è pure violenza a cui alcuni reagiscono con la violenza.
D’altra parte i rapporti tra israeliani e palestinesi sono da sempre improntati alla violenza: dopo quello che sta succedendo come si potrà mai invertire questa tendenza, come si potrà chiedere ai giovani palestinesi di soprassedere alla vendetta, come si potrà arrivare ai “due popoli – due Stati”.
Nel 2006, durante gli attacchi Hezbollah a Israele, in una seduta del Senato Italiano il senatore a vita Giulio Andreotti disse: “Ognuno di noi se fosse nato in un campo di concentramento e da 50 anni fosse lì e non avesse alcuna prospettiva di poter dare ai propri figli un avvenire sarebbe un terrorista”.
È facile condannare la violenza senza chiedersi le sue motivazioni. Il discorso vale anche oggi in riferimento ai seguaci di Hamas: cosa dovrebbero fare i palestinesi maltrattati sistematicamente dagli israeliani e penosamente governati dai propri dirigenti corrotti e incapaci?
Mi permetto di allargare il discorso ben consapevole dei rischi culturali che corro: cosa dovrebbero fare i contestatori pro-pal che intendono reagire ad una opprimente ed asfissiante valanga di falsità politiche e mediatiche tendenti all’omertà o all’indifferenza di fronte all’eccidio di un popolo?
Ognuno dia la sua risposta, che però non può essere quella del mero perseguimento giudiziario e della comminazione delle pene conseguenti per i trasgressivi contestatori. Non è giusto esigere la non violenza solo dai contestatori. Sì, il bastone per chi contesta con violenza e la carota per chi massacra i palestinesi.
