Giorgia Meloni mantiene la rotta sul crinale scivoloso che separa Washington da Bruxelles, anche se il cammino è sempre più impervio. La premier continua a perorare la causa del sostegno al percorso avviato da Donald Trump per la soluzione della crisi in Ucraina, ma il documento per la sicurezza nazionale pubblicato venerdì dalla Casa Bianca marca una netta distanza con l’Unione e il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, lo ha fatto capire in modo piuttosto eloquente. Come se non bastasse, il vertice di ieri a Londra del formato E3, con Volodymir Zelensky, il cancelliere tedesco Friedrich Merz, il presidente francese Emmanuel Macron e il premier britannico Keir Starmer, segna una nuova assenza di Roma dai tavoli che contano e in un momento decisivo dei negoziati per la pace tra Mosca e Kiev.
Per questo il capo dell’esecutivo ha deciso di giocare in anticipo. Domenica ha sentito Zelensky rinnovandogli la solidarietà dell’Italia e organizzando un incontro a Roma previsto per martedì alle 15. Ma ha anche ribadito il sostegno «all’impegno degli Stati Uniti» per il percorso verso la pace. Lo stesso ha fatto anche ieri, quando ha “raggiunto” alcuni leader europei riuniti con Zelensky in una videoconferenza del formato Washington seguita al vertice a Downing Street. Nel corso del summit, spiega una nota di Palazzo Chigi, Meloni ha insistito sulla necessità di offrire garanzie di sicurezza per Kiev e «ha posto l’accento sull’importanza dell’unità di vedute tra partner europei e Stati Uniti per il raggiungimento di una pace giusta e duratura in Ucraina».
Ai vertici dell’Ue, però, l’atteggiamento di Washington piace sempre meno. Per Costa, intervenuto ieri alla conferenza annuale dell’Istituto Jacques Delors, a Parigi, «i rapporti nelle alleanze del Secondo Dopoguerra sono cambiati» e se Mosca appoggia la nuova strategia di sicurezza Usa bisogna che gli europei «si interroghino» sui motivi per cui lo fa. Anche perché, è il ragionamento del presidente del Consiglio europeo, in Ucraina Trump «non punta a una pace giusta e duratura» ma «alla cessazione delle ostilità per avere relazioni stabili con la Russia». In altre parole, Costa ne è convinto, gli Stati Uniti «non credono più nel multilateralismo, nell’ordine internazionale basato sulle regole» e persino «nel cambiamento climatico». Quindi è chiaro che nell’alleanza convivono ormai «visioni del mondo diverse». Tuttavia, ha continuato, è «positivo» che Washington consideri ancora l’Europa come un suo alleato (come scritto nel documento strategico della Casa bianca appunto), ma «se siamo alleati – ha avvertito Costa – dobbiamo agire come tali. E gli alleati non minacciano di interferire nella vita democratica o nelle scelte politiche interne di questi alleati». (“Avvenire” – Matteo Marcelli)
C’è da chiedersi il vero perché di questo atteggiamento avventato del nostro Presidente del Consiglio. Come tutti hanno capito Giorgia Meloni ha giocato d’astuzia a livello internazionale, facendosi la principale paladina della causa ucraina e puntando ad un rapporto privilegiato con gli Usa fin dai tempi di Biden.
Senonché Trump ha cambiato pesantemente la politica estera americana, ha sostanzialmente scaricato Zelensky, sta preparando le merende da consumare con Putin, sta maltrattando brutalmente l’Europa individuando nell’Unione Europea un ostacolo alla sua visione del mondo.
In pratica Giorgia Meloni è rimasta col cerino acceso in mano e si ostina a voler fare da ponte tra Europa e Usa, fingendo di non capire che a Trump non importa niente dell’Europa e che i partner europei stanno riposizionandosi rispetto agli Usa. Sta venendo meno il suo punto tattico-politico di appoggio e viene a trovarsi scoperta su entrambi i fronti.
Questa posizione le crea non pochi problemi nei rapporti con gli alleati di centro-destra: da una parte la Lega che guarda con interesse all’asse Trump-Putin, dall’altra parte Forza Italia che ha un occhio di riguardo per l’Unione Europea tramite l’adesione al Ppe; la espone alle forti critiche delle opposizioni per quello che possono contare, ma soprattutto la indebolisce a livello di politica interna in un momento tutt’altro che facile per il governo. Persino a livello mediatico le diventa difficile nascondersi, come si suol dire, in “un prato segato”.
Finora il giochino della politica estera le è stato d’aiuto, ma ormai le carte si stanno scoprendo e le furbizie non tengono più. E l’Italia? Finiremo completamente ai margini dell’Europa? Diventeremo i servi sciocchi di Trump?
Ricevendo Zelensky a Palazzo Chigi ha mostrato una notevole tensione nervosa: questi si affidava a lei mentre Trump ne sparava di tutti i colori contro di lui e contro i suoi difensori europei: guardando le immagini non si riusciva a capire chi fosse più pallido fra Meloni e Zelensky. Una situazione che ha dell’incredibile: Giorgia si ostina a puntare su Trump e così facendo si allontana sempre più dai partner europei, che stanno reagendo con un po’ di orgoglio agli attacchi statunitensi. Cosa dirà al presidente americano? Cosa dirà ai colleghi europei? Si attaccherà agli svogliati amici del giaguaro come Ungheria, repubblica Cesa e Slovacchia o andrà a Canossa dai volonterosi vale a dire Francia, Germania e Gran Bretagna. Che figura farà con Zelensky? Il problema però non è la Meloni, è il paese Italia. Un tempo una politica italiana così disastrosa a livello internazionale avrebbe comportato effetti pesanti a livello governativo: una crisi di governo sarebbe stata inevitabile. Oggi sull’altare della stabilità stiamo sacrificando tutto. La situazione è difficilissima e, affrontata con grave imperizia, potrebbe anche precipitare, esplodere e/o implodere.
Se andiamo avanti così, ci potrà salvare solo Mattarella bypassando il governo italiano in sede Ue e parafrasando quanto pronunciato da Alcide De Gasperi il 10 agosto 1946 alla Conferenza di Pace di Parigi, dove, come capo del governo italiano, si presentò di fronte alle potenze vincitrici, sentendosi in una posizione di svantaggio (“ex nemico”) e sottolineando l’ostilità generale ma anche la necessità di difendere dignitosamente l’Italia. Non gli resterà che affermare solennemente: “Prendendo la parola in questo consesso europeo, sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me”. E speriamo che ci sia qualche esponente europeo di rilievo che si alzi e gli vada a stringere la mano.
