La fontana malata e la sorgente armoniosa

Un Lorenzo Fontana quasi a briglie sciolte sulla situazione internazionale. Si professa «un po’ più fiducioso» sulle prospettive di pace per l’Ucraina, perché entrambe le parti «stanno capendo che uno sforzo così prolungato non sia giustificato» alla luce dei risultati ottenuti. Soprattutto per la Russia di Putin questo conflitto «è un fallimento totale, un boomerang», al di là della propaganda. E poi «non credo che gli Usa si ritireranno dall’Europa»; e per quest’ultima, in ogni caso, progredire sull’integrazione non sarà facile, è «troppo complicato, se non impossibile» fare una «un esercito comune», perché «ci sono interessi molto differenti» e poi la storia «ha un suo peso, con le guerre del passato» fra vari stati europei. (“Avvenire” – Eugenio Fatigante)

Mi è venuto spontaneo un confronto fra le dichiarazioni della terza carica dello Stato, cioè del presidente della Camera, e quelle della prima carica, vale a dire del presidente della Repubblica: una differenza abissale, umana, culturale e politica.

Con Lorenzo Fontana siamo all’osteria della Giarrettiera laddove alloggiava sir John Falstaff, il quale ricevette appunto un tale signor Fontana, che sotto falso nome voleva ingannarlo smascherandone l’ingenua ma ostinata supponenza. Gli italiani si fanno ingannare da questo signor nessuno, che propina loro argomentazioni oscillanti tra il subdolo qualunquismo e l’ignorante pragmatismo: la pace ridotta a mera presa d’atto delle macerie post-belliche; gli Usa inchiodati ad una sorta di filo-europeismo di maniera; l’Europa bloccata dalle difficoltà del presente e dai retaggi del passato. Della serie rassegniamoci e partite.

E questi sarebbero gli auguri di fine anno indirizzati alla stampa parlamentare dal presidente della Camera. Molto meglio che simili scoraggianti auguri li tenesse per sé… L’unico barlume di luce nelle tenebre consiste per gli ottimisti nella relativa buongustaia presa di distanza di Fontana dalle porcherie salviniane: chi si contenta gode…

Ma passiamo in un altro emisfero, alziamoci per uscire dall’osteria e andare ad ascoltare il Presidente Mattarella di cui riporto di seguito un passaggio dell’intervento in occasione della XVIII Conferenza delle Ambasciatrici e degli Ambasciatori d’Italia.

La nostra Repubblica, fin dalle sue origini, ha manifestato acuta consapevolezza del valore del dialogo internazionale come via privilegiata per affermare il suo ruolo nel mondo.

Questa scelta non discese soltanto da un’ispirazione riflessa nella nostra Costituzione, ma risponde, oggi come allora, a un ragionamento puntuale circa il modo migliore di tutelare i nostri interessi nazionali.

Prese forma nel corso del tempo, progressivamente, a partire dall’azione di un ministro degli Esteri come Alcide De Gasperi e, poi, di Carlo Sforza – che con lui collaborò, a sua volta da Ministro – quella Costituzione materiale che ha guidato, senza discontinuità, il nostro Paese nello scenario internazionale, basandosi su pace, dialogo, multilateralismo, europeismo, legame atlantico.

Quegli orientamenti continuano a rappresentare, ancora oggi, un patrimonio prezioso che ci può guidare nelle nuove forme con cui si presentano i conflitti.

Di fronte alla nuova complessità, avviene anche che la diplomazia appaia in ripiego o che si ritenga che si trovi a gestire la mera certificazione notarile di situazioni regolate con la forza.

Non è così!

Alcuni dei risultati raggiunti nel dopoguerra dalla diplomazia, tanto quella multilaterale quanto quella bilaterale, sono stati straordinari.

Oggi, forse ancor più che nel recente passato, è indispensabile disporre di una diplomazia, competente e ben formata, capace di comprendere e gestire questa complessità, muovendosi con equilibrio.

Una diplomazia che sia in grado di sviluppare iniziative che colmino il preoccupante deficit di fiducia reciproca tra gli Stati che si va accumulando in seno alla Comunità internazionale; che sappia rivolgersi a tutti gli attori di una crisi, affermando i principi irrinunciabili della legalità internazionale.

Dopo la sbrigativa celebrazione del funerale della diplomazia ecco la fiducia nella risurrezione della diplomazia stessa. Dopo l’apnea indotta dal presidente della Camera una boccata d’ossigeno fornita dal presidente della Repubblica. Oggi più che mai valga la locuzione “ubi maior minor cessat”.