Gli auguri da rispedire al mittente

Resto molto perplesso in merito alla impostazione e finalizzazione delle preghiere dei fedeli formulate, peraltro in modo piuttosto artificioso ed affettato, durante le celebrazioni eucaristiche così come nel contesto della liturgia delle ore: un atteggiamento irresponsabilmente attendista e oserei dire fatalista, che ribalta sul Padre Eterno i nostri mali affinché siano da lui affrontati e guariti. Mi riferisco a guerre, ingiustizie, povertà, sofferenze varie.

Lo stesso discorso vale a maggior ragione a Natale: si aspetta da Gesù Bambino il miracolo della pace. È verissimo che si tratta di un dono di Dio, ma che richiede la nostra collaborazione attiva e fattiva.

Il Natale non è prima di tutto una festa, ma una decisione. Una scelta presa “nell’eternità” e valida ancora oggi. Dio vede il mondo così com’è – diviso, fragile, contraddittorio – e lo ama fino in fondo. Questo giorno santo ci pone una domanda semplice e radicale: noi, che decisione vogliamo prendere? Come Dio, siamo chiamati a guardare. Guardare attorno a noi e un po’ più in là della nostra cerchia abituale. Dove c’è pace e dove c’è guerra? Chi oggi piange e chi ride? Chi è solo, chi è malato, chi ha paura del futuro? Il Natale non chiede gesti eroici, ma scelte vere. Accogliere la decisione di Dio che ci salva e renderla visibile nella nostra vita: nelle priorità che cambiano, nelle relazioni che si ricuciono, nello sguardo che si fa più largo e più misericordioso. Dio viene a farci compagnia.
E noi, diventati fratelli e sorelle, decidiamo di portare il Natale là dove manca: a chi soffre, a chi è ferito dall’odio, a chi vive nel buio della guerra o della solitudine, ai più poveri, ai dimenticati. È così che partecipiamo alla missione di Cristo: una missione di pace, di comunione, di riconciliazione. A ciascuno, senza eccezione, il Signore continua a dire: «Io ti ho amato». E questa decisione non si esaurisce oggi. Rimane.  (Omelia natalizia di don Umberto Cocconi)

Il discorso vale per tutti i cristiani, ma a maggior ragione per i cristiani investiti di alte e gravi responsabilità politiche, che postano loro immagini vicini al presepe, si riempiono la bocca di begli auguri e scaricano sulla mangiatoia di Betlemme i problemi enormi di loro competenza. Una sorta di blasfemo “va’ avanti ti c’am scapä da rìddor”.

Prendo a caso (?) un augurio proveniente dalla classe politica. «In un mondo turbolento che si muove sempre più velocemente, il Natale ci offre un raro momento di pausa per respirare, rallentare e ricordare ciò che conta davvero». Inizia così il messaggio si Ursula von der Leyen, che rivolge un pensiero particolare «ai nostri amici in Ucraina». «Ci auguriamo che l’anno prossimo porti finalmente una pace giusta e duratura – aggiunge la presidente della Commissione europea – e un futuro sicuro e prospero nella nostra Unione».

Come se lei non avesse stringenti responsabilità e importanti funzioni… Vale naturalmente anche per tutte le sue colleghe e i suoi colleghi europei.

Mia sorella Lucia mi rammentava spesso come don Raffaele D’Agnino, suo confessore e direttore spirituale per diverso tempo, a chi gli offriva danaro per i poveri qualificandoli con l’aggettivo possessivo “suoi” (di don D’Agnino appunto), rispondesse stizzito e con genuino spirito evangelico: «Bada che i poveri sono anche “tuoi” e quindi l’aiuto glielo devi consegnare direttamente tu, guardandoli negli occhi!».

Penso che Gesù faccia lo stesso ragionamento e ci chieda di assumerci tutte le nostre responsabilità e di impegnarci per i senza casa, i senza lavoro, i senza patria, i senza pace.

Giorgio La Pira, che considero il prototipo del cristiano impegnato in politica, pregava molto e convintamente, ma poi si rimboccava le maniche, agiva e si faceva carico dei problemi della gente e si comportava da operatore di pace (la beatitudine ritagliata addosso ai politici).