Laboratorio per una sinistra radical pop

Mamdani ha posto la questione economica (casa, trasporti e infanzia) al centro della sua campagna. Le sue proposte sono dichiaratamente ambiziose e progettate per affrontare quella che viene chiamata la “crisi dell’accessibilità” a New York: affitti in crescita, costi elevati per allevare bambini, mezzi pubblici gravati da alte tariffe, difficoltà complessiva per le famiglie a reddito medio-basso. Su scala maggiore qualcosa di simile al dibattito che si è acceso recentemente in Italia sul “modello Milano”, i suoi costi e l’“espulsione” dai confini urbani dei meno abbienti. Tra le proposte più importanti, ora da realizzare, ci sono gli autobus gratuiti, il congelamento degli affitti con maggiore enfasi sulla responsabilità dei proprietari, soprattutto dove è forte il rischio di sfratto o si registra un’impennata dei costi di locazione nei quartieri in trasformazione. Più a lungo termine il progetto di triplicare le abitazioni a equo canone, attraverso la costruzione di alloggi in edifici realizzati da imprese che impieghino lavoratori sindacalizzati, garantendo qualità e salari dignitosi. Di forte impatto è anche la proposta di negozi alimentari gestiti direttamente dal Comune per contenere i prezzi dei generi di prima necessità. Segue l’assistenza all’infanzia universale, nella forma di servizi offerti da 6 settimane a 5 anni di età. Gli effetti benefici sulla partecipazione al lavoro, l’uguaglianza di genere e il benessere dei bambini risulterebbero notevoli, ma il costo per le casse pubbliche sarebbe altissimo. Infine, l’imposta fissa del 2% per redditi sopra 1 milione di dollari, misura pensata per finanziare le politiche descritte sopra. Chi ha redditi elevati, sostiene il sindaco eletto, deve contribuire maggiormente al sostegno della città. Donald Trump ha preso di mira Mamdani per questo programma di sinistra e poco “americano”, circostanza in parte vera vista la distanza (e la diffidenza) tra la Grande Mela e il Paese profondo. Tuttavia, il paradosso è che in modi totalmente diversi entrambi, il sindaco e il presidente, si sono rivolti nelle loro campagne elettorali ai “forgotten men”, i dimenticati, gli esclusi, i meno fortunati, contro i privilegi, gli interessi consolidati e i politici di professione. L’esito è stato favorevole sia per l’uno che per l’altro, i risultati sono ora da valutare sul campo. (“Avvenire” – Andrea Lavazza)

C’è indubbiamente nel successo elettorale di Zohran Mamdani – nuovo primo cittadino della Grande Mela, con i suoi 34 anni appena compiuti, il più giovane da fine Ottocento, nonché il primo musulmano e il primo nato in Africa, ammesso alla nazionalità americana solo dal 2018 – qualcosa di populistico e di demagogico, ma c’è anche molta speranza in una certa qual conversione progressista degli americani. Staremo a vedere…

Al momento, più che ad una repentina e piuttosto improbabile svolta anti-trumpiana, sono interessato al recupero del concetto di buona amministrazione locale pensando che possa partire da lì la riscossa politica generale.

New York è una megalopoli, è quasi uno stato nello Stato, ma favorisce tuttavia un rapporto più stretto fra cittadini ed istituzioni, atto a ripensare e ricostruire la politica nella chiave del bene comune.

Volendo operare uno sbrigativo parallelismo con la situazione italiana, potrebbe essere quello inaugurato da Mamdani uno stile di governo rispondente ai bisogni concreti della gente soprattutto dei cittadini più in difficoltà, da applicare ai nostri comuni per attaccare dal basso il verticistico potere della destra basato sul qualunquismo dei molti e sull’egoismo dei pochi.

Nel nostro Paese le elezioni amministrative sono vissute come test elettorali rispetto agli schieramenti politici nazionali: tutto comincia e finisce lì, dopo di che il sindaco vivacchia nell’anonimato e nell’ordinaria amministrazione. Non c’è partecipazione né condivisione da parte dei cittadini, non c’è protagonismo né originalità nei candidati sindaco: morale della favola, se il sindaco è di destra, tira la volata a Giorgia Meloni, se il sindaco è di sinistra, diventa un tentativo per il cosiddetto campo largo alternativo alla destra.

I problemi della gente rimangono al palo mentre a livello amministrativo, più o meno, così fan tutti i sindaci. L’esempio più emblematico riguarda Milano: un sindaco di centro-sinistra che non riesce a concretizzare alcuna terapia contro l’alcolismo della “Milano da Bere”, un’amministrazione comunale che non si distingue dalle altre di segno diverso se non per evitare certi accessi reazionari e poco più.

È pur vero che le amministrazioni locali sono dotate di scarsi poteri (schiacciate fra le due burocrazie dominanti, quella centrale e quella regionale) e di scarsi mezzi (la fiscalità non passa dai comuni), tuttavia con un po’ di fantasia e di sensibilità si potrebbero fare grandi cose, tali da far traballare i balletti politici nazionali. Invece la gara è solo quella della visibilità mediatica a suon di iniziative tanto dispendiose quanto ininfluenti sul tessuto sociale.

Un tempo gli indirizzi socio-politici italiani dipendevano dall’aria che tirava negli Usa: il berlusconismo aveva invertito la tendenza diventando fonte di ispirazione per gli assetti americani. Col governo attuale siamo tornati all’antico, prendendo a scatola chiusa il peggio proveniente dagli Usa (vedi Trump e poi muori…). Il messaggio di Mamdani potrà scombussolare i nostri miseri piani? Servirà a svegliarci dal sonno astensionista? Ci fara gustare di nuovo, pur senza illusioni, il senso della politica, proponendo una sorta di radicalismo di sinistra di base fatto di pochi e precisi obiettivi comunicati in modo coinvolgente da contrapporre al radicalismo verticista di destra fatto di molti e vaghi opportunismi comunicati in modo stravolgente?