Sulle sponde di un mare Rosso di vergogna e di sangue

Se Benjamin Netanyahu aveva perso la faccia e smarrita la coscienza da parecchio tempo, Donald Trump ha gettato finalmente le maschere etica e politica: la pace dipende dalla forza e dagli affari. Una simile cruda, programmatica e spudorata ammissione di cinismo non ha forse confronti nella storia. Così come (di)mostrare la propria funzione di mediatore unilaterale mette la parola fine su qualsiasi prospettiva di ripristino dell’ordine internazionale multilaterale.

Altro che pace, questa si chiama conflittualità latente permanente a cui bellamente rassegnarsi. In questo sconfortante quadro rimane solo un’Europa piuttosto defilata a cui assegnare le residue speranze per un assetto mondiale un po’ diverso.  Se finora era da stigmatizzare l’assenza diplomatica europea, ora che i giochi si stanno facendo scopertamente sporchi, l’irrilevanza potrebbe diventare un elemento prospettico di riscatto.

Siamo ridotti al lumicino delle speranze: nella saga dei potenti-delinquenti, la presenza dei potenti-balbettanti potrebbe fare paradossalmente gioco. Lo capiranno i leader europei o preferiranno leccare più o meno convintamente il culo a Trump, lasciandogli il monopolio del dialogo con cani e porci a trecentosessanta gradi.

I palestinesi moderati si faranno spalleggiare dagli affaristi arabi compiacenti e, a maggior ragione, i palestinesi radicali non avranno altra possibilità di dissenso rispetto al terrorismo. L’odio sarà il leitmotiv di pace e guerra che pari saranno.

Una vomitevole ritualità come quella andata in scena alla Knesset, quale preludio al vergognoso, indegno e surreale balletto-passerella di Sharm el-Sheikh, sarà il connotato di una giornata da cancellare dalla memoria storica.