Fra gli esclusi del palazzo occupato: il Giubileo è grido di giustizia e riscatto. Viaggio nel condominio abusivo a Roma che dal 2013 è in mano a 400 “senza casa” e che accoglie l’incontro dei movimenti popolari nato da un’intuizione di papa Francesco. «Uno scandalo? No, il Vangelo chiede di soccorrere gli ultimi». Gli inquilini: il dono dell’Anno Santo? La regolarizzazione dello stabile.
«Buongiorno e benvenuto», saluta appena entrati il ragazzo dai tratti latinoamericani che siede dietro il bancone della portineria. Più che altro un tavolo, sistemato appena sopra la rampa di scale che si apre dentro la recinzione affacciata su una delle strade del quartiere Esquilino. Autosorveglianza agli ingressi del parallelepipedo di mattoni e cemento dove la parola d’ordine è autogestione. Sopra l’enorme cancello rosso, lo striscione che a Roma già dice tutto: “Spin Time”. Lo stabile occupato dal 2013. Il colosso di 21mila metri quadrati che dà un tetto a quasi 400 «brave persone», come si definiscono in uno dei manifesti affissi sulle facciate, che «non rispettano le leggi ingiuste» perché le hanno lasciate “senza dimora”. Il monoblocco che, secondo i punti di vista, è l’icona dell’illegalità tollerata in città o il simbolo del riscatto degli esclusi dove la lotta per il diritto alla casa ha fatto nascere all’interno centri d’aggregazione e sportelli sociali all’insegna del motto “Più umanità e cultura, meno profitto e mercato”.
E adesso “Spin Time” è la sede del quinto Incontro mondiale dei movimenti popolari che si tiene a Roma per il Giubileo. Un raduno che era stato voluto da papa Francesco e che Leone XIV ha abbracciato. «Una sorpresa da parte del nuovo Pontefice? No. L’attenzione agli ultimi è il cuore del Vangelo», spiega don Mattia Ferrari. Cappellano di Mediterranea, la ong salva-migranti, e membro della «comunità di Spin Time», come si descrive, è il coordinatore della piattaforma ecclesiale targata papa Bergoglio che raccoglie i movimenti di tutto il pianeta. E la mente dell’appuntamento nel “grattacielo ribelle” organizzato con gli inquilini del palazzone assieme al Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale. Non è un caso che il cardinale prefetto Michael Czerny si presenti fra i corridoi e gli appartamenti “conquistati”. «I poveri non solo subiscono le angherie, ma lottano contro di esse. C’è bisogno di costruire una società fraterna. E la Chiesa è accanto a chi cerca modelli alternativi di sviluppo economico e di utilizzo delle risorse rispetto a quello dominante che ogni giorno mostra tutti i suoi dannosi effetti», dice Czerny. Prima di lui è la volta del cardinale vicario di Roma, Baldassare Reina, che apre i lavori nei sotterranei del fabbricato. «L’accoglienza e l’amore per il prossimo sembrano usciti dal vocabolario contemporaneo. La comunità ecclesiale intende fare proprio il grido dei poveri», incoraggia. Venerdì 24 ottobre, ultima delle cinque giornate del summit popolare, tocca al presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi, varcare i portoni del condominio abusivo. A precederli, nel 2019, era stato l’elemosiniere del Papa, il cardinale Konrad Krajewski, mandato a riattaccare l’energia elettrica che era stata tagliata per morosità. (Dal quotidiano “Avvenire” – Giacomo Gambassi)
Riavvolgiamo il nastro e facciamo un salto indietro, gennaio 2005: andiamo a Parma nella parrocchia di Santa Cristina, accompagnati per mano da don Luciano Scaccaglia, il pretaccio parmense.
Don Scaccaglia era cristianamente esagerato: qualcuno, di questa sua tendenza, faceva oggetto di censura o di critica, mentre in realtà si trattava proprio della sua capacità culturale di affrontare radicalmente le situazioni in perfetto stile evangelico. Ebbene la denuncia del problema, da cui era solito partire, nel caso dell’immigrazione trovò la suo profetica espressione ed il suo apice nell’occupazione della chiesa di S. Cristina da parte di 30 immigrati nel gennaio 2005 (grande freddo!). Questa sacrosanta provocazione fece scandalo, ad essa seguì una forte polemica contro il parroco don Luciano Scaccaglia e la sua comunità aperta e accogliente, rei di averli ospitati col Vangelo alla mano. Anche quella volta c’era stato il preludio dello sgombero, ad opera dei vigili urbani, dai ruderi di una cartiera abbandonata, inutilizzata, lasciata al degrado, ma considerata più preziosa delle vite di schiavi senza valore. A Parma nel 2005 i perbenisti bigottoni, i leccapreti col conto in banca e gli appartamenti sfitti, i clericali ad oltranza sempre dalla parte del manico curialesco si scatenarono ed aprirono un fronte di reazionaria polemica, andando persino molto al di là della tollerante reazione dell’allora vescovo Cesare Bonicelli. Questi infatti andava di prima mattina e senza farsi notare nel “tempio della vergogna” e offriva il suo contributo in danaro oltre all’incoraggiamento a don Scaccaglia. Il coraggio, anche quel poco (?) che dimostrava di avere Bonicelli, se uno non ce l’ha, non se lo può dare. Gli amministratori comunali preferirono il silenzio. Parma non si smentisce mai (certo nel 1922 i parmigiani avevano ben altra sensibilità e coraggio): la reazione dominante fu quella dell’indifferenza.
Per la comunità di Santa Cristina l’occupazione del 2005 fu la scintilla per l’avvio di una comunità di accoglienza: qui sta la saldatura della carità tra denuncia dell’ingiustizia e impegno solidale. La casa di accoglienza però da allora visse in mezzo a mille difficoltà e soprattutto nel silenzio imbarazzato dei pubblici poteri e financo della galassia civile e religiosa impegnata nel sociale. Siamo alle solite, ai sussiegosi scetticismi verso le iniziative di accoglienza, portate avanti, senza beneficiare di alcun aiuto curiale o municipale e con enormi e provocatori sacrifici, dal solito rompiscatole di un parroco scomodo. Questa comunità di accoglienza dava fastidio, sicuramente dava ancora più fastidio don Scaccaglia. Era ospitata nei locali della parrocchia di S. Cristina, andava oltre il mero rifugio notturno per offrire spazi di socializzazione e integrazione.
Altra tappa in questo provocatorio excursus ecclesiale retrospettivo. Questa volta siamo a Roma nientepopodimeno che nella Basilica di Santa Maria Maggiore.
Il 07 aprile 2015 i movimenti per la casa occuparono un palazzo a Torre Spaccata, periferia sud-est dove andarono a vivere 50 famiglie, che, il 03 giugno, la polizia fece sgomberare con la solita solerzia. Trovarono provvisorio rifugio, dormirono e vissero per alcuni giorni nella Basilica di Santa Maria Maggiore (che è territorio vaticano). Stupì non tanto il fatto in sé, ma la reazione molto tollerante da parte delle autorità ecclesiastiche con il vicariato addirittura impegnato a ricercare soluzioni al problema riguardante immigrati e non. In filigrana si poteva leggere l’ormai ennesimo segno di un cambiamento di clima nella Chiesa dovuto all’impostazione del pontificato di Francesco. Seppure di traverso molti sono costretti ad inghiottire rospi: in altri momenti li avrebbero clamorosamente sputati.
2005, 2015, 2025: tappe decennali di un percorso accidentato. I tempi della Chiesa sono troppo lunghi. A Gesù sono bastati tre anni di ministero pubblico per sconvolgere il mondo. D’altra parte le profezie hanno bisogno di tempo per essere assorbite nel tessuto ecclesiale, ma non prendiamocela troppo comoda, perché siamo chiamati da subito a rispondere della passione per la giustizia.
Torniamo precipitosamente ai giorni nostri. Morale della favola: la fece simpaticamente lo stesso don Luciano Scaccaglia con soddisfazione condita da una punta di amara ironia. Senza alcuna cattiveria e senza inutili rivalse, davanti alle golose novità introdotte da papa Francesco si lasciò andare dicendo: «Il Papa? Mi copia!».
Cosa direbbe oggi? Forse che la copiatura, fortunatamente e nonostante tutto, continua e si allarga. Il ritardo di duecento anni, denunciato per la Chiesa dal Cardinal Martini, si sta accorciando? Stiamo recuperando? Attenti però: passato il Giubileo della speranza gabbato il riscatto degli esclusi?
