Meloni e Orban compagni d’armi

Gli ingenti finanziamenti legati al Piano di riarmo europeo al servizio di una “tregua” tra Ungheria e Bruxelles sul dossier-Ucraina. Stringi stringi, dall’incontro a Palazzo Chigi tra la premier Giorgia Meloni e il leader magiaro Viktor Orbán emerge il tentativo di una difficile ricomposizione, con Roma in un ruolo di mediazione, benché complicato e segnato da diversi imbarazzi.

I due sono amici e uniti anche dal punto di vista politico-culturale. Ma sulla visione d’Europa ormai, da tempo, divergono. E dunque a fine incontro Palazzo Chigi trasmette una nota ufficiale in cui non si indugia – come in altre circostanze – sul tenore del colloquio, ma si cerca di lasciare poco spazio alla fantasia. Il colloquio, si spiega, ha consentito di confrontarsi su «situazione in Ucraina, sviluppi in Medio Oriente e agenda europea». Immancabile, ma di maniera, il riferimento a una «gestione efficace e innovativa dei flussi migratori». La traccia da seguire sta nel finale della nota di Palazzo Chigi: «I due leader hanno infine discusso delle opportunità offerte dallo strumento europeo Safe, valutando possibili sinergie tra Italia e Ungheria a sostegno delle rispettive capacità industriali e tecnologiche».

L’Ungheria riceverà 16,2 miliardi di prestiti europei dal programma Safe, più dell’Italia. La “logica” del riarmo stabilito in sede Ue è proprio la comune visione sul pericolo russo. È evidente che le posizioni di Orbán su Putin renderebbero quasi contraddittoria la partecipazione dell’Ungheria al programma. Il leader magiaro pone veti sull’ingresso di Kiev nell’Unione e ora è in “lotta” con Bruxelles sulle nuove sanzioni a Mosca. Non solo, Orbán è in rotta anche con Trump per la scelta americana di sanzionare l’export di petrolio russo, di cui si serve.

Dalla nota italiana si comprendono sia le difficoltà del colloquio sia la richiesta di Meloni a una maggiore disponibilità al dialogo, motivata dalle “opportunità” legate al piano di riarmo. (“Avvenire” – Marco Iasevoli)

Per il commento a questo compromesso diplomatico, basato sul riarmo e lo stanziamento dei relativi fondi, cedo la parola a mio padre e alle sue caustiche riflessioni. Ai suoi tempi Giorgia Meloni e Viktor Orbán non erano nemmeno nati: così non si potrà dire che ho dei pregiudizi negativi su questi personaggi.

Di fronte ai duri contrasti tra governanti osservava amaramente: «Quand as trata ‘d fabricär dil ca par la povra genta i tacàgnon parchè an gh’é mäi i sòld, quand as trata ‘d fabricär dilj armi ien tùtt d’acordi e ‘d sold a gh’nè anca tròp».

Nella sua semplicità, quando osservava l’enorme quantità di armi prodotta, rimaneva sconfortato e concludeva per un inevitabile inasprirsi dei conflitti al fine di poter smaltire queste scorte diversamente invendute ed inutilizzate. «S’in fan miga dil guéri, co’ nin fani ‘d tutti chi ilj ärmi lì?» si chiedeva desolatamente.

Di ritorno dalla toccante visita al sacrario di Redipuglia si illudeva di convertire tutti al pacifismo, portando in quel luogo soprattutto quanti osavano scherzare con nuovi impulsi bellicosi. «A chi gh’à vója ‘d fär dil guéri, bizògnariss portärol a Redipuglia: agh va via la vója sùbbit…». Pensava che ne sarebbero usciti purificati per sempre.