L’uovo del secolarismo e la gallina del fondamentalismo

Una cultura che assolutizza la libertà individuale finisce per generare conflitti insanabili, fratture etiche, dilemmi insolubili. La libertà, se sganciata da ogni riferimento al bene comune, rischia di trasformarsi nel suo contrario: nell’arbitrio che mina le basi stesse della convivenza. C’è una strada diversa, che non coincida né con le sirene del fondamentalismo religioso né con il secolarismo radicale? Una via è quella del riconoscimento del valore pubblico delle religioni, intese non come esperienze esclusivamente private ma come dimensioni collettive che, senza avere la pretesa di sostituirsi allo Stato o di imporre la propria visione del mondo, apportano un contributo prezioso alla rigenerazione di un comune tessuto etico. Invece del modello francese – basato sulla rimozione del religioso dallo spazio pubblico – serve un’idea di laicità che riconosce il ruolo pubblico della religione.

Si tratta di uscire dalla contraddizione in cui siamo intrappolati: da un lato l’illusione di una secolarizzazione autosufficiente, dall’altro la tentazione del fondamentalismo. La sfida è trovare un equilibrio che consenta di valorizzare il patrimonio spirituale delle religioni senza trasformarlo in strumento di dominio. (Mauro Magatti – “Avvenire”) 

 

Non vorrei essere tacciato di semplicismo di fronte al problema sollevato dal sociologo Mauro Magatti, ma mi viene spontaneo parafrasare il suo dubbio di fondo chiedendomi: è nato prima l’uovo del secolarismo o la gallina del fondamentalismo.

Secolarismo e fondamentalismo sono infatti due atteggiamenti pseudo-culturali che si giustificano e si sostengono a vicenda. Il secolarismo viene esorcizzato per motivare comunque la reazione al nuovo che avanza e rifugiarsi nel rassicurante vecchiume dei nazionalismi e dei fascismi.

Ne volete un esempio? A mio zio sacerdote impegnato in modo non violento nella resistenza al nazi-fascismo, sua sorella eccepiva la noncuranza dell’appoggio concesso da Mussolini alla Chiesa cattolica tramite il concordato. Come era possibile schierarsi dalla parte degli oppositori al regime nelle cui fila militavano socialisti, comunisti e radicali? Mio zio non rispondeva a queste deboli e petulanti obiezioni e andava avanti per la sua strada: al mattino celebrava la messa in una chiesa di collina per poi andare in montagna a combinare scambi di prigionieri con i partigiani. Troppo comodo chiudersi in sagrestia a difendere i valori cristiani, così come è assurdo ammantare di cristianesimo i nazionalismi di Trump e Putin, creando un paradossale (?) collegamento tra ultras cattolici Maga e ultras ortodossi russi.

Purtroppo è sbagliato anche prendere provocatoriamente a scatola chiusa tutto quanto sa di clericale per cestinarlo in nome di una laicità che diventa inevitabilmente laicismo. Ne volete un esempio? Elly Schlein, seppure in buona fede e senza secondi fini, rischia di cadere nell’errore di consegnare la sinistra unicamente alle pur sacrosante battaglie per i diritti civili, dimenticando che tali diritti vanno coniugati con la solidarietà e l’impegno sociale. Il partito democratico, che doveva essere, in senso positivo e costruttivo, l’alternativa allo scontro manicheo tra reazione cattolica e progresso laico, sta fallendo il suo obiettivo regalando i cattolici, complice il movimentismo fondamentalista di Comunione e Liberazione, alla destra populista e nazionalista.

Come se ne esce? I cattolici devono svegliarsi, affrancarsi dalle ancestrali paure verso la sinistra e abbandonare il comodo torpore politico che li paralizza. I cosiddetti laici devono superare ogni prevenzione ed accogliere le istanze etico-culturali del mondo cattolico, sfrondate dal bigottismo e rilanciate sul piano della lotta alle povertà e dell’impegno per la giustizia e la pace.

Il Vangelo non è una dottrina politica, ma un’ispirazione per chi si impegna in politica; non è il baluardo contro una deriva secolare, ma un contributo dialogico alla crescita della società nel rispetto dei valori della persona umana.

A ben pensarci è tutto scritto nella Costituzione italiana: il compromesso al più alto livello tra i valori portati avanti dai partiti democratici ed antifascisti. Gira e rigira bisogna ripartire da lì.