Michele Serra demolisce la sinistra: “Conte e la Schlein devono andare a Lourdes”. Ospite di Corrado Formigli a Piazzapulita, Michele Serra commenta le ultime sconfitte elettorali e ammette: “La sinistra è un mistero anche per me”.
“La sinistra è un mistero anche per me che ci bazzico da una vita intera.” Con questa frase, Michele Serra ha aperto il suo intervento a “Piazzapulita”, ospite di Corrado Formigli su La7, dopo le due pesanti sconfitte elettorali della coalizione di Elly Schlein e Giuseppe Conte nelle Marche e in Calabria.
“È un mistero come la sinistra non riesca a rendere visibile e percepibile da tutti una battaglia come quella sul salario minimo”, ha detto, allargando le braccia in segno di resa. Le sue parole, pronunciate con tono ironico ma severo, hanno trovato eco sui social, dove molti utenti hanno letto nella sua analisi un riferimento diretto alla segretaria dem Elly Schlein. “Non riesce a farsi capire”.
Nel finale del suo intervento, Serra ha sintetizzato così la sua delusione: “Non riesce a farsi capire quando parla, come se dicesse cose incomprensibili, persino quando avrebbe alcune cose comprensibili da dire.” Pur senza citarla, il riferimento alle difficoltà comunicative di Elly Schlein appare evidente.
La riflessione di Serra non è solo una battuta da talk show, ma una diagnosi impietosa sullo stato dell’opposizione: una forza che, a suo dire, ha perso la capacità di parlare al Paese reale. E la sua battuta su Lourdes, diventata virale in poche ore, sembra riassumere perfettamente la crisi di identità di una sinistra che, tra slogan e divisioni, continua a non trovare la strada per tornare credibile. (Storia di Lorenzo Costantino)
La provocatoria riflessione di Michele Serra è più che pertinente. La trovo anzi invitante!
Mio padre osservava acutamente come nelle umane convivenze, ad esempio nei rapporti coniugali e famigliari in genere, quando viene meno l’intesa di fondo, ogni proposta finisca con l’essere rifiutata o, nella migliore delle ipotesi, ignorata: non c’è dialogo, non c’è reciproca attenzione, non esiste corrispondenza di “amorosi” sensi.
Ecco perché la sinistra deve avere la pazienza di ripristinare un clima di fiducia ripartendo dai valori provenienti dalla sua storia: è su questi che può ricuperare attenzione e credibilità. Mentre la destra può prescindere dai valori, puntando tutto sulle risposte pragmatiche ai problemi e ottenendo una passiva acquiescenza, la sinistra non può permetterselo e quindi anche le sue battaglie più sacrosante, se sganciate dagli ideali di fondo, appaiono velleitarie.
In questa riscoperta dei valori una funzione fondamentale e imprescindibile la può e la deve svolgere la sinistra cattolica, attualmente piuttosto emarginata e/o defilata. I popolarismi cattolico e socialista devono riprendere la scena occupata, in modo eccessivo e talvolta sgangherato, dal pur importante discorso sui diritti civili Lgbtq e simili.
Occorre impostare un esame ed un conseguente recupero retrospettivo per avviare a ragion veduta un cammino prospettico: come in atletica leggera per prendere la respinta si fa un passo indietro, in politica, e non solo in politica, per andare avanti è necessario guardare indietro, non per farsi condizionare, influenzare o trattenere, ma per illuminare il futuro con la cultura e l’esperienza provenienti dal passato.
Può Elly Schlein, estranea alle storie e alle culture popolari, guidare un simile processo di rifondazione valoriale su cui poi costruire coinvolgenti politiche sociali? No! Ecco perché non riesce a connettersi con la gente potenzialmente di sinistra nonostante gli sforzi e tutta la più buona volontà. Esiste un personaggio capace di scaldare gli animi e di trascinare la gente su sacrosante battaglie di sinistra? Vedo soltanto Maurizio Landini.
Non è questione di abilità e dimestichezza mediatiche, ma di “cuore” che a sinistra non batte più ed ha bisogno di forti stimolazioni. La gente di sinistra rischia di trovare risposte paradossalmente invitanti magari in casa dell’inquilino della porta accanto (non importa più di tanto se situato a destra) piuttosto che in casa propria. Forse in casa propria cerca un po’ di piazza come quelle pro Pal: vedi l’affermazione, timidamente numerica ma politicamente significativa, della lista Toscana rossa.
Esistono due nodi più tattici che strategici: la piazza e il campo largo. Il partito fondamentale della sinistra, vale a dire il PD, fa fatica ad intercettare le proteste di piazza se non quelle provenienti dalla galassia Lgbtq. Quando qualcosa si muove all’aperto le uniche porte disponibili all’accoglienza sembrano essere quelle dell’ultrasinistra (Potere al popolo e c.); nemmeno l’Alleanza verdi-sinistra riesce ad accogliere questo movimentismo che nella sua spontaneità potrebbe funzionare almeno da pungolo etico-sociale.
Poi si ripropone continuamente, con alterne fortune elettorali, la questione del cosiddetto campo largo: al di là delle varie etichette il problema rimane quello del riformismo più o meno schiacciato sul moderatismo e/o sul post-grillismo. Che senso ha continuare a dissertare sui componenti della famiglia se manca il senso profondo della famiglia?
Su tutto grava inoltre il macigno dell’astensionismo, che non sembra lasciare scampo alla battaglia politica, allontanando da essa i potenziali partecipanti prima che elettori. È difficile comprendere fino a che punto questo fenomeno in continua ed inquietante accentuazione riguardi la sinistra e il suo inesistente feeling con la gente. Non so se l’astensionismo si possa schematicamente scomporre, configurandolo e collocandolo politicamente a destra e a sinistra. Tendo a pensare che esistano due tipi di astensionismo, quello fisiologicamente qualunquista difficilmente recuperabile o comunque terreno di coltura della destra (mia sorella era convinta che chi parte facendo negativamente d’ogni erba un fascio finisce col ripiegare sulla mangiatoia di destra) e quello psicologicamente e socialmente motivato recuperabile prevalentemente a sinistra. Il recupero però non avviene col vogliamoci bene del campo largo o col marciare divisi per colpire uniti, ma ritornando pazientemente e coerentemente da una parte ai valori di fondo e dall’altra ai problemi concreti della dignitosa umana sopravvivenza.
Non so se il richiamo a Lourdes sia soltanto un espediente ironico o se abbia un significato più profondo: a Lourdes si va per chiedere grazie, soprattutto per la guarigione del corpo, ma si dovrebbe andare anche per dimostrare umiltà di fede e di conversione. Sì, umiltà di ricominciare a fare politica in base a certi valori, conversione rispetto ai tradimenti della storia e alle deviazioni dalle idealità. Senza paura di tornare alle ideologie, perché assieme ad esse abbiamo buttato anche le idee e i principi di riferimento e siamo rimasti a mani vuote.
“Andare a Canossa” significa umiliarsi, piegarsi e chiedere perdono dopo aver commesso un errore, accettando una sottomissione forzata per ottenere il perdono di un superiore o di un avversario. “Andare a Lourdes” potrebbe essere una versione meno laica e più ideologica di un percorso da intraprendere per ottenere il “perdono” della gente che non ci capisce dentro più niente.