Un gruppo di attivisti pro Pal ha interrotto per protesta un dibattito sulle prospettive di pace in Medioriente nell’Università di Ca’ Foscari a Venezia. All’evento, con ospiti il presidente di Sinistra per Israele – Due Popoli due Stati Emanuele Fiano e Antonio Calò presidente di Ve.Ri.Pa, alcuni studenti con uno striscione contro i sionisti nelle università si sono messi a intonare slogan critici verso le posizioni dell’incontro.
“Ho provato in tutti i modi a continuare ma hanno continuato a parlare e a dire su di me falsità”, ha riferito Fiano. Gli attivisti – un gruppo di studenti della Sinistra giovanile – gridavano “fuori i sionisti dall’università”. “Sono scioccato da quanto accaduto”, ha aggiunto l’ex parlamentare: “Impedire a una persona di parlare è fascismo. L’ultima volta che hanno espulso un Fiano da un luogo di studio è stato nel ’38, con mio padre. Noi eravamo lì a parlare di pace tra due popoli, di ingiustizie, di dolori, di violenza e di pace. Chi non vuol sentire parlare di queste cose la pace non la vuole”, ha concluso.
L’incontro era stato organizzato dall’associazione “Futura” in collaborazione con la Fondazione Venezia per la ricerca sulla pace. “Assieme ad alcuni studenti – ha detto Fiano – si doveva svolgere un dibattito sulle prospettive di pace in Medioriente nella logica dei ‘due popoli due stati‘. Nei giorni scorsi il ‘Fronte gioventù comunista’ aveva annunciato una manifestazione”. “Si tratta dell’ennesimo episodio di violenza politica su danni proprio di chi da sempre è impegnato per la pace e la risoluzione del conflitto in Medioriente”, si legge in una nota di Sinistra per Israele. (da “Il Fatto Quotidiano”
So di avventurarmi in un terreno delicatissimo, ma nella mia vita ho sempre avuto il coraggio di affrontare criticamente, pagando di persona, anche le situazioni più scomode, esponendo apertamente e coraggiosamente il mio parere. Non avevo sempre ragione, non avevo sempre torto: una cosa è certa, ho esercitato pienamente il mio diritto di pensiero, di parola e di azione al di là degli schemi e del politicamente corretto.
Seguendo questo stile comportamentale, prima di procedere con le condanne sommarie in cui si esercitano i benpensanti di turno, sono portato a chiedermi il perché di queste clamorose proteste giovanili.
Ricordo come Aldo Moro, di fronte ad un poster che ritraeva un giovane con in mano una P38, si interrogasse sulle motivazioni di questa estrema manifestazione di protesta prima di giungere alla sua inesorabile condanna.
Perché certi giovani esprimono questa totale e incondizionata repulsione verso le ragioni israeliane? Hanno tutti i torti provenienti da un pregiudiziale radicalismo che li porta a generalizzare e ad essere intolleranti verso tutti coloro che appartengono, direttamente o indirettamente, alla nazionalità israeliana? Esistono motivazioni serie alla base di tali aprioristiche contrapposizioni?
C’è innanzitutto la smania del rifiuto di una totalizzante narrazione storico-culturale comunque favorevole alle ragioni israeliane fino a giustificarle con la manichea contrapposizioni al terrorismo di marca palestinese: in mezzo totale silenzio sulle ingiustizie patite dalla popolazione palestinese, costretta a vivere senza diritti, senza patria, senza classe dirigente. L’impulso è quello di reagire sposando acriticamente la causa palestinese e squalificando tutti coloro che sono dall’altra parte della barricata.
Aggiungiamo una certa quale ignoranza storica condizionata dall’assolutizzazione della pur sacrosanta memoria dell’olocausto, che per gli ebrei è purtroppo un alibi per la vendetta e per i palestinesi una folle spinta alla illegittima difesa: davanti a questo paradossale bivio non c’è alternativa, non si riesce a ragionare, sionismo ante litteram provoca antisemitismo, antisemitismo chiama guerra totale e perpetua in una perversa spirale di odio.
Consideriamo inoltre la fisiologica giovanile propensione alla radicalizzazione delle risposte ai problemi, che reagisce alla insopportabile melina diplomatica la quale finisce col privilegiare il più forte, nel caso specifico il governo israeliano, che si sovrappone peraltro allo Stato e alla popolazione israeliani. Come resistere alla tentazione di radicalizzarsi di fronte al balletto verde di Trump e Netanyahu con tanto di opportunistici applausi arabi? Tutta colpa di Hamas? Ma fatemi il piacere…
Non è facile rimanere lucidi e imparziali in questo ginepraio culturale, storico e politico. Occorre molta pazienza e comprensione verso chi in assoluta buona fede si ribella rischiando di confondere capre e cavoli. Se devo essere sincero sono portato a capire l’atteggiamento dei giovani universitari di Ca’ Foscari, i quali di fronte al massacro di una popolazione non riescono a disquisire ma usano zappa e badile. Capisco molto meno l’Europa e il governo italiano che condannano a parole e non si immischiano, rifiutando i fatti concreti quali il blocco delle forniture di armi ad Israele e l’isolamento commerciale di questo Stato.
È comodo non fare niente e scandalizzarsi di chi vuole fare qualcosa ma finisce suo malgrado nella rete della confusione imperante.
Chiudo ricordando una barzelletta con protagonista uno storico personaggio di Parma, Stopàj: questi, piuttosto alticcio, sale in autobus e, tonificato dall’alcool, trova il coraggio di dire impietosamente la verità in faccia ad un’altezzosa signora: «Mo sale che lè l’è brutta bombén!». La donna, colta in flagrante, sposta acidamente il discorso e risponde di getto: «E lu l’è imbariägh!». Uno a uno, si direbbe. Ma Stopaj va oltre e non si impressiona ribattendo: «Sì, mo a mi dmán la me pasäda!». Al lettore l’incarico di uscire dalla metafora, sostituendo ai personaggi della gustosa gag le parti in campo a Ca’ Foscari.
Alla protesta esagerata si risponde con la squalifica scandalizzata, al perbenismo del galateo internazionale si risponde con una smerdata generalizzata. L’importante sarebbe che dopo gli insulti reciproci alla fine si riuscisse a riprendere il filo del ragionamento. E chi dovrebbe fare il primo passo se non la politica, sforzandosi di capire le ragioni della protesta piuttosto che trincerarsi dietro l’esasperazione di chi protesta.
