Un boccone amaro. Ma non amarissimo. A Donald Trump non avrà fatto piacere vedersi scippato il premio Nobel che ha più volte, pubblicamente, rivendicato. Lo ha dimostrato il commento piccato al Comitato di Oslo: «Mette la politica al di sopra della pace», ha detto capo della comunicazione della Casa Bianca, Steven Cheung.
Il fatto che quest’ultimo abbia designato, al suo posto, la “pasionaria” venezuelana María Corina Machado, deve avere, almeno un po’, alleviato il malumore. La “nemica numero 1” del defunto Hugo Chávez prima e di Nicolás Maduro, poi, non ha mai nascosto i legami stretti con il Partito repubblicano Usa creati fin dalla presidenza di George W. Bush. Tra i principali sostenitori della sua candidatura al prestigioso riconoscimento figura l’attuale segretario di Stato, Marco Rubio.
Quando era ancora senatore, l’anno scorso, insieme al collega Rick Scott e altri rappresentanti conservatori, aveva sottoscritto una lettera all’organismo norvegese sottolineando gli sforzi compiuti dall’economista e leader politica per una transizione democratica a Caracas, nonostante la repressione del governo. Quest’anno, in un’intervista al Time, ha definito Corina Machado la «personificazione della resilienza, della tenacia, del patriottismo». Nessuno può negare la risolutezza della donna che a 44 anni, appena eletta all’Assemblea nazionale, interruppe un allora popolarissimo Chávez per dirgli: «Come può dire di rispettare il settore privato, se lo espropria di tutto?».
La risposta, sprezzante del caudillo, s’è rivelata una profezia: «Prima di parlare vinca le primarie. Le aquile non cacciano le mosche». Dodici anni dopo, Machado avrebbe stravinto la nomination dell’opposizione con il 95 per cento dei voti, costringendo Maduro a ricorrere ai giudici per farla fuori dalle ultime presidenziali. E a “ritoccare” i risultati comunque favorevoli al sostituto, Edmondo González Urrutia. Da allora quest’ultimo vive in esilio in Spagna e Machado in clandestinità.
La persecuzione feroce di cui è vittima, insieme al resto del dissenso, non cancella alcune prese di posizioni controverse della “lady di ferro” latinoamericana, come la chiamano. Contraria ad ogni trattativa con la “dittatura chavista”, ha invocato l’impiego della forza per destituire Maduro e ha definito gli altri partiti oppositori e i loro rappresentanti, a partire da Henrique Capriles, «collaborazionisti». A lungo “ai margini” perché considerata troppo estrema, la sua leadership è esplosa nel 2024 quando, con il suo stile aggressivo, le venature populiste, i toni veementi è riuscita a risvegliare l’entusiasmo di un popolo ormai disilluso.
Il Nobel a Machado si inserisce, però, in una partita geopolitica più complessa in corso alla Casa Bianca. Come un’inchiesta del New York Times ha rivelato, negli ultimi mesi, a dispetto della retorica incendiaria, ci sono state intense trattative segrete tra i delegati di Caracas e l’inviato speciale di Trump, Richard Grenell. In cambio della distensione, Maduro ha offerto a Washington una partecipazione dominante nella gestione del petrolio e delle altre risorse minerali nazionali, arrivando addirittura a ridurre drasticamente le forniture a Cina, Iran e Russia.
Una linea ferocemente osteggiata da Rubio, principale supporter di Machado. Proprio quest’ultima, attraverso la consigliera economica, Sary Levy, ha presentato una controproposta in caso di appoggio dell’Amministrazione a un cambio di regime, con incluso un redditizio contratto 1,7 miliardi di dollari. Forse è una coincidenza, ma al momento i negoziati tra Grenell e Machado sarebbero momentaneamente in stallo. Ora il Nobel segna un nuovo punto a favore della “lady di ferro”. Orgoglio del tycoon permettendo. (“Avvenire” – Lucia Capuzzi)
Appena il tempo di tirare un respiro di sollievo per lo scampato pericolo culturale di un’eventuale paradossale assegnazione del premio Nobel per la Pace a Donald Trump ed ecco spuntare dal cappello geo-politico il profilo filo-trumpiano del coniglio machadiano.
Non so se si tratti solo di una spruzzata di prezzemolo statunitense sul piatto venezuelano di Maria Corina Machado: me lo auguro! Fatto sta che sta prendendo sempre più piede il proverbio del “non si muove foglia che Trump non voglia”.
Possibile che il mondo giri attorno a questo squallido personaggio. Si dirà che è sempre stato così: il potere americano ha connotato il mondo più nel male plutocratico che nel bene democratico. Credo però che un’invadenza subdola deleteria come quella attuale non abbia precedenti storici.
Ci sono due modi per reagire a questo andazzo geopolitico: uno dovrebbe consistere nel risveglio delle coscienze delle persone che dovrebbero rifiutare una visione etica verticistica ed egoistica basata sulla forza nei rapporti e negli assetti umani; uno dovrebbe risiedere nel ritorno ad uno stile multilaterale nella cooperazione tra gli Stati, basato su principi e norme condivisi, garantiti dal diritto internazionale, ed atto a promuovere la pace, la stabilità e lo sviluppo globale.
Non sono talmente ingenuo da pensare che l’assegnazione del premio Nobel per la Pace possa prescindere dagli equilibri geopolitici esistenti, ma fino ad ora mi illudevo che potesse rappresentare una dinamica provocazione sbattuta in faccia ai potenti: in certi casi la è stata eccome. Oggi la piccionaia del potere è talmente impenetrabile da riuscire a respingere ogni e qualsiasi sasso etico e culturale.
Come sostiene acutamente Massimo D’Alema siamo passati dalla ricerca degli equilibri basati sugli interessi mediati in qualche modo a livello internazionale alla schizofrenia degli egoismi nazionali in totale libera uscita. Anche le ipotetiche voci dissenzienti potenzialmente più autorevoli vengono preventivamente fagocitate e successivamente inglobate nel sistematico caos.
Quante volte si era detto che l’unica voce veramente in controtendenza a livello mondiale era quella di papa Francesco. Vivo nel terrore che anche papa Leone sia stato preventivamente scelto e sia successivamente risucchiato e relegato nel gioco diplomatico del vogliamoci bene. Dopo di che…ci resta il diluvio…