Il tentativo di dialogo si era già incrinato quando Trump, la scorsa settimana, aveva usato la richiesta ucraina di missili a lungo raggio Tomahawk per esercitare pressione sul Cremlino, sostenendo di voler prendere in considerazione la fornitura. Ma una telefonata di Putin ha fatto rapidamente cambiare idea al tycoon, tanto che, durante il successivo incontro con il presidente ucraino, Trump avrebbe detto a Volodymyr Zelensky di dimenticare i Tomahawk e di rinunciare invece del tutto alla regione orientale del Donbass, cedendo alle richieste russe. «Sì, è vero», ha detto un funzionario americano, secondo cui Trump avrebbe esortato Zelensky a ritirare le truppe dai territori ancora sotto controllo ucraino. La fonte ha aggiunto che i colloqui del leader di Kiev con Trump sono stati «tesi e non facili», e che gli sforzi diplomatici per mettere fine alla guerra sembrano «trascinarsi» e «girare a vuoto». Il presidente ucraino invece ha descritto il suo incontro alla Casa Bianca come «un successo» che ha prodotto progressi, portando all’acquisizione di nuovi sistemi di difesa aerea, in contrasto con le notizie secondo cui Trump lo avrebbe insultato.
Zelensky ieri ha ribadito la sua disponibilità a fermare il conflitto lungo l’attuale linea del fronte e ha rilanciato l’appello per la fornitura di Tomahawk, che ritiene indispensabili per costringere Mosca al negoziato. «Non appena la questione dei missili a lungo raggio è diventata un po’ più complessa per l’Ucraina, la Russia ha perso interesse per la diplomazia — ha fatto notare il presidente ucraino riferendosi al rifiuto di Trump —. È un segnale che la questione è una chiave insostituibile per la pace». Per ora Zelensky si accontenterà di un contratto per l’acquisto di 25 sistemi Patriot. Ma Mosca resta ferma sulle sue posizioni, negando persino che un vertice fosse mai stato allo studio. «Non è possibile sospendere qualcosa che non è mai stato concordato», ha concluso ieri il vice ministro degli Esteri Sergei Ryabkov. (“Avvenire” – Elena Molinari, Giovanni Maria Del Re – New York e Bruxelles)
Sono in campo ben tre diversi e inconciliabili approcci anti-diplomatici: quello presuntuoso del fatto compiuto trumpiano, quello classicheggiante del tener duro putiniano e quello del tergicristallo zelenskyano. Ne sta uscendo un quadro schizofrenico, che non porta da nessuna parte, o meglio, che porta alla guerra infinita inframmezzata da finte tregue.
Zelensky si illude di farsi forza subendo le umiliazioni tattiche di Trump senza dignità: Trump si accontenta di fare lo specchietto per le sue allodole elettorali interne ed internazionali; Putin gioca il ruolo del politico riottoso che ama farsi corteggiare dicendo dei sì che sono no e lasciando intendere che i no possono diventare sì.
Non mi si dica che la diplomazia è questa: è la caricatura della diplomazia! Bisogna quindi stare attenti, quando si auspica che al fragore delle armi si sostituisca la calma del dialogo e della diplomazia. Non vorrei infatti che dalla padella della violenza delle armi si cascasse nella brace della falsità delle parole.
E allora? Sarebbe l’ora che volge il disio ai navicanti europei e ‘ntenerisce il core … ed ecco infatti la risposta degli europei.
Un piano in dodici punti per porre fine alla guerra in Ucraina, lungo la linea attuale del fronte. Gli europei, pochi giorni dopo l’annuncio del presidente Usa Donald Trump di un possibile incontro con Vladimir Putin a Budapest (ormai sempre più in dubbio) si ricompattano per evitare il peggio. A rivelarlo è l’agenzia Bloomberg. L’idea è di creare un board (una sorta di direttorio) presieduto da Trump per vegliare sull’attuazione del piano. Una volta che la Russia avrà accettato la tregua, ci sarà il ritorno di tutti i bambini ucraini deportati in Russia e scambi di prigionieri. L’Ucraina riceverà garanzie di sicurezza, fondi per riparare i danni di guerra e un percorso rapido di adesione all’Ue. Contemporaneamente, le sanzioni contro Mosca sarebbero progressivamente revocate, ma i circa 300 miliardi di dollari complessivi di riserve della Banca centrale russa in Occidente sarebbero restituiti solo dopo che Mosca avrà accettato di contribuire alla ricostruzione dell’Ucraina. Le sanzioni tornerebbero a scattare se la Russia attaccherà nuovamente l’Ucraina. Non basta, il piano prevede che Mosca e Kiev avviino i negoziati sulla gestione dei territori occupati, senza però alcun riconoscimento formale di terre ucraine occupate da Mosca. (ancora “Avvenire” – Elena Molinari, Giovanni Maria Del Re – New York e Bruxelles).
Si oscilla tra la ruota di scorta di Trump e l’imitazione di papa Leone: una sorta di ircocervo diplomatico. Se gli ucraini aspettano che li salvi l’Europa… Dalle braccia infide di Trump a quelle insulse della Ue. Intanto la Russia avanza imperterrita. Si ipotizza che Mosca possa accettare di contribuire alla ricostruzione dell’Ucraina. Siamo al paradosso!
«Il giorno in cui le imprese di armi finanzieranno ospedali per curare i bambini mutilati dalle loro bombe, il sistema avrà raggiunto il suo culmine. Questa è l’ipocrisia» (Papa Francesco).
