Chi dice donna non dice pace

Sanae Takaichi è stata eletta nuova premier del Giappone, diventando – dopo 103 colleghi maschi – la prima donna a ricoprire questo ruolo, dopo la nomina a inizio mese alla guida del Partito Liberal-democratico (Ldp).

Conservatrice convinta, 64 anni, nota per le sue posizioni dure in materia di sicurezza nazionale, difesa e immigrazione, animata da una sorta di “idolatria” per Margaret Thatcher – non a caso ha più volte dichiarato di voler essere la “Lady di Ferro” del Giappone – dopo il trionfo di inizio mese alle primarie del Partito liberaldemocratico, convocate a seguito del passo indietro annunciato a settembre da Shigeru Ishiba, primo ministro per 386 giorni.

Il voto di oggi ha inaugurato una sessione parlamentare straordinaria di 58 giorni che si concluderà il 17 dicembre. Ex ministra degli Affari interni e volto noto della destra giapponese, sul fronte interno, la nuova premier 64enne dovrà affrontare l’arduo compito di governare senza una maggioranza stabile, cercando sponde tra le forze d’opposizione per far avanzare la legislazione. Il Jip, pur parte della coalizione, non avrà ruoli nel nuovo gabinetto e svolgerà funzioni consultive. In politica estera e difesa, Takaichi ha da subito deciso di imprimere un’accelerazione.

I media locali anticipano la revisione di tre documenti strategici chiave per incrementare ulteriormente le spese militari e rafforzare l’asse Tokyo-Washington, segnalando una rinnovata disponibilità ad allinearsi alle richieste Usa su difesa e sicurezza. In linea con l’impegno assunto nel 2022 di portare il bilancio della difesa al 2% del Pil entro il 2027, Takaichi ha dichiarato che il Giappone dovrà “superare quella soglia prima o poi” per rispondere alle crescenti minacce regionali. Aumenti di spesa che saranno finanziati da nuove entrate fiscali, imposte su imprese, redditi e tabacco.

Il primo impegno internazionale della nuova leader dovrebbe essere la partecipazione a un vertice dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (Asean) in Malesia. Subito dopo, Takaichi ospiterà il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, in visita ufficiale in Giappone. Entrambi gli appuntamenti sono previsti per la fine del mese. (avvenire.it)

E io che speravo in una nuova era politica di progresso e di pace guidata dalle donne finalmente al potere… Quante volte sono stato costretto ad ammettere che le donne non hanno ottenuto la parità di diritti, ma la parità di difetti.

Papa Francesco, non certo un fulmine di femminismo, il 1° gennaio 2024 aveva incoraggiato tutti a “guardare alle donne e alle madri per trovare la via della pace”. In questo momento storico purtroppo non si vede all’orizzonte nessuna donna che possa ricoprire un ruolo importante in favore della pace. Occorre però sperare che ci siano donne impegnate in tal senso al di fuori delle luci false della ribalta: anche perché la donna dà la vita e non la dovrebbe togliere.

Si pensi storicamente all’azione di una donna come Santa Caterina da Siena, al rivoluzionario messaggio di Madre Teresa di Calcutta, alla testimonianza di Chiara Lubich (De Gasperi, dopo averla ascoltata, le disse: «Stamattina mi ero svegliato disperato, lei mi ha ridato la speranza!!!»).

Lasciando perdere per carità di patria e di genere “la grande statista” Giorgia Meloni, persino in materia di premio Nobel per la pace giungono più ombre che luci dalla venezuelana Machado.

In questo periodo di oscurità, di disorientamento, di mistificazione dobbiamo attaccarci più che mai agli esempi e alle parole delle grandi donne a prescindere da quelle impegnate in politica ai massimi livelli.

Facciamo riferimento a Esther Hillesum, detta Etty: è stata una scrittrice olandese ebrea vittima dell’Olocausto, il cui pensiero è un inno alla vita e un invito alla lotta con gioia, come quella che bisogna combattere contro gli abusi, contro la violenza ad ogni livello, fisico e morale, perché è in gioco sempre e solo un principio irrinunciabile, la libertà.

Pensiamo a Edith Bruck, un’altra di queste grandi donne: smentisce autorevolmente e coraggiosamente che la questione politica femminile sia automaticamente riconducibile ad un fatto di genere e aggiunge fuori dai denti come “una donna premier non sia un bene in sé. Anzi: spesso, nei posti di vertice, le donne diventano peggiori degli uomini, tendono a volerli superare e fanno peggio di loro, sono ancora più spietate».

Molti anni fa scrissi un provocatorio omaggio alle donne, ricordando emblematicamente mia nonna materna, una vedova auto-emancipata, madre Teresa di Calcutta, la soluzione vivente al problema del sesso degli angeli, le suore di clausura, le migliori cosmetologhe possibili e immaginabili. Quanti rimbrotti ebbi da amiche e colleghe! Sono ancora sostanzialmente di quel parere a costo di fare la figura del retrogrado; continuo imperterrito a correre il rischio della retorica.

Tornando alla politica, le delusioni al femminile non mancano: ultima, per chi nonostante tutto si ostina a crederci, la giapponese Sanae Takaichi da cui sono spietatamente partito. Ce n’è per tutti i gusti e in tutto il mondo. In Italia abbiamo il becco di ferro di togliere persino quel po’ di classe e dolcezza presente negli stereotipi delle donne al potere. Una sorta di femminismo (o antifemminismo?) all’italiana.