Il dogmatico palliativo alla carità evangelica

Dopo la Toscana, anche la Sardegna ha approvato una sua legge regionale sul fine vita. In assenza di una normativa nazionale sollecitata da tempo dalla Consulta a rendere non punibile – ricorrendo alcuni presupposti estremi – l’aiuto al suicidio, si registra dunque una nuova fuga in avanti a livello locale, sulla scia della libera interpretazione che l’associazione Luca Coscioni dà del pronunciamento della Corte. Il testo della Sardegna ricalca per grandi linee la proposta “Liberi subito” e come per la Toscana c’è da aspettarsi che anche questa norma venga impugnata dal Governo, mentre in Parlamento discute di una disciplina organica sul tema e – nonostante il dibattito ancora aperto nella maggioranza – sembra prevalere l’idea che una legge sia inevitabile, sia pur entro parametri molto restrittivi, fra cui fa molto discutere il mancato coinvolgimento del servizio sanitario nazionale.

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In un comunicato i vescovi sardi esprimono «preoccupazione» e un «dissenso» che «nasce dalla certezza che la vita va sempre difesa, per cui non è accettabile aiutare un malato a morire. Il tema della difesa della vita non può essere un’occasione per contrapposizioni politiche strumentali per finalità di consenso elettorale», sostengono i presuli facendo proprio il comunicato della Presidenza della Cei del 19 febbraio 2025, e in una situazione come quella sarda «appare ancora più urgente che si dia attuazione al “Piano di potenziamento della Rete regionale di cure palliative 2024”, del 5 settembre scorso. Non si tratta di accanimento terapeutico – concludono -, al quale siamo sempre contrari, ma di non smarrire l’umanità».

Anche l‘arcivescovo di Cagliari Giuseppe Baturi, segretario generale della Cei, ricorda come la Presidenza dei vescovi italiani abbia già sostenuto che «sulla vita non ci possono essere polarizzazioni o giochi al ribasso», ed esprime quindi «rammarico», auspicando che «si giunga, a livello nazionale, a interventi che tutelino nel miglior modo possibile la vita, favoriscano l’accompagnamento e la cura nella malattia, sostengano le famiglie nelle situazioni di sofferenza». (dal quotidiano “Avvenire” – Angelo Picariello)

Mentre la politica fa strumentale melina sulla pelle dei disperati, i vescovi pongono “fardelli pesanti e difficili da portare” sulle spalle di chi soffre già più che a sufficienza.

Sul fine vita c’è in atto una diatriba fra Parlamento (che non si decide a legiferare) e Regioni (che mordono il freno per dare almeno uno straccio di risposta alle aspettative etiche sempre più impellenti). Se il Parlamento non è in grado di intervenire compiutamente, nonostante gli inviti della Corte Costituzionale e nonostante gli appelli di chi soffre tremendamente, ben vengano le fughe in avanti delle Regioni: si rischia la confusione normativa, ma sempre meglio un po’ di confusione che l’irresponsabile e comodo silenzio sulle disgrazie altrui.

Quanto alle posizioni della gerarchia cattolica non le capisco e, se le capisco, non sono assolutamente d’accordo.

Ma questi signori vescovi e cardinali che razza di idea hanno del Padre Eterno? Lo credono così pignolo da sottilizzare sulla liceità del suicidio assistito di persone giunte al capolinea della loro possibilità di vita umanamente dignitosa? Ma fatemi il piacere…

Perché sulle orme di Gesù, partendo dalla giustizia quale conseguenza della fede, non si aprono alle persone, non facendosi mai imprigionare dagli e negli schemi, non si pongono, a cuore aperto, davanti alle problematiche sessuali, alla bioetica, all’eutanasia, all’aborto, all’accanimento terapeutico, all’uso del preservativo, al sacerdozio femminile, al celibato sacerdotale?

Più che delle pur sacrosante cure palliative, i vescovi sembrano preoccupati di trovare un palliativo dogmatico al Vangelo. Non si tratta di principi irrinunciabili, ma di testardaggini belle e buone. La difesa della vita non è un principio astratto, ma uno stile di comportamento dettato dalla carità nel rispetto delle singole persone e delle loro coscienze.

Malati terminali: «Sulla base di una scelta chiara e consapevole della persona interessata, bisogna rispettare il suo diritto alla non sofferenza, a un minimo di dignità in ciò che rimane della vita. Ogni caso ha una sua trama e una valutazione diversa» (don Andrea Gallo).

Se qualcuno riterrà che io con questi atteggiamenti mi ponga fuori dalla Chiesa, non me ne frega un cazzo (quanno ce vò ce vò!): l’importante è che io rimanga dentro la mia coscienza illuminata dal Vangelo. È ciò che cerco di fare, spesso non ci riesco e vado in crisi, ma non sul tema del fine vita di chi intende coraggiosamente chiuderla, bensì in quello dell’aiuto alla vita di chi vorrebbe vivere e viene ammazzato con la guerra, con la fame, con i genocidi, con le torture, con le ingiustizie, con le discriminazioni, con le povertà, etc. etc.