L’estate amplifica fragilità e conflitti: aumentano liti domestiche e femminicidi, comportamenti disordinati, episodi di escandescenza nelle strade e nei condomìni, si moltiplicano contegni disinibiti ed esasperati, come il consumo di alcol, stupefacenti. Il caldo e gli eccessi, di giorno e nelle notti della cosiddetta movida. E poi, le città si svuotano, i servizi territoriali rallentano, la solitudine sociale pesa di più su chi è già vulnerabile. In questo contesto, la risposta di sicurezza non può essere appiattita su dispositivi e conteggi statistici – quante pattuglie, quante telecamere, quanti fermi e controlli – ma deve misurarsi con la particolare complessità stagionale dei problemi di sicurezza urbana.
Il pericolo, dunque, di interventi inappropriati o sproporzionati è accresciuto dalla pretesa utilizzabilità di “dispositivi tecnologici”. A cominciare per l’appunto dal taser, che non è un’arma innocua. In un soggetto giovane e in buona salute l’effetto può essere transitorio, ma in presenza di fragilità – cardiologiche, neurologiche, psichiatriche, o di assunzione di sostanze – diventa molto rischioso. E sono proprio persone in queste condizioni ad essere frequentemente al centro degli interventi di ordine pubblico. Occorre, dunque, un codice d’uso rigoroso: su homeless, tossicodipendenti e soggetti in evidente stato di alterazione non si dovrebbe mai ricorrere al taser.
Più in profondità, va criticata la scorciatoia cognitiva per cui si attribuisce a un oggetto tecnico un potere quasi risolutivo. È una forma di feticismo: al posto di una strategia di servizio – protocolli, équipe, formazione, coordinamento con i servizi sociali e sanitari – si brandisce un alibi tecnologico. Così si rinvia il lavoro più impegnativo: migliorare competenze, affinare tattiche di de-escalation, costruire catene di aiuto interistituzionali. (da “Avvenire” – Maurizio Fiasco)
Il mio impegno politico è storicamente fatto di sfide coraggiose al limite del paradosso, regolarmente perse in casa: militavo infatti nella Democrazia cristiana aderendo all’ala progressista, per la precisione alla corrente di matrice sindacal-aclista. Una gara dura anche se, per certi versi, affascinante. Ero segretario di sezione e durante un dibattito congressuale mi permisi di sostenere l’idea del disarmo della polizia nei conflitti di lavoro: era un periodo caldo a livello di protesta e contestazione studentesca e operaia. La mia provocatoria proposta, che peraltro faceva riferimento ad un disegno di legge, presentato in Parlamento da un esponente della sinistra D.C. (se non erro l’onorevole Foschi) e mai approvato, fece andare su tutte le furie alcuni iscritti, in particolare uno che gridò: “I canón a la polisìa”. Fu la mia caporetto, da quel momento ebbi vita dura e in poco tempo mi spodestarono democraticamente (?) da segretario.
Chi osa mettere in discussione l’operato delle forze dell’ordine è destinato ad essere tacitato o addirittura deriso sulla base dell’assoluta necessità della difesa a tutti i costi dell’ordine pubblico e della sicurezza. Non si può ragionare…
Cos’è questo taser?
Il taser (acronimo dell’inglese Thomas A. Swift’s Electric Rifle, lett. “fucile elettrico di Thomas A. Swift”), chiamato anche pistola elettrica o storditore elettrico è un’arma che fa uso dell’elettricità per impedire il movimento del soggetto colpito facendone contrarre i muscoli. Il termine taser assomiglia molto a quello dialettale parmigiano di tazér (tacere): ciò che non intendo fare a costo di essere bollato come un anarchico sognatore disfattista.
In questi giorni questa arma usata dai carabinieri ha causato la morte di due soggetti piuttosto scalmanati, che, nelle intenzioni dei tutori dell’ordine, andavano immobilizzati. Non intendo colpevolizzare nessuno, ma soltanto reagire alla deriva securitaria, che caratterizza, da Donald Trump a Giorgia Meloni, la proposta e l’azione dei governi.
Usare un’arma, per non letale che teoricamente sia, non è un gioco da ragazzi. Qualcuno vorrebbe consentirne l’uso per la difesa personale, immaginiamo quanto ne sia aprioristicamente considerato sacrosanto e indiscutibile l’uso da parte delle forze dell’ordine. Non sono d’accordo!
Due morti dopo la scarica elettrica di una pistola che si vorrebbe “non letale”, anzi qualificata come “strumento imprescindibile” dal ministro dell’Interno. Sulla scena, altrettanti interventi di forze dell’ordine – il primo a Olbia e l’altro a Genova – compiuti da carabinieri per sedare due persone dal comportamento aggressivo e percepito come pericoloso dal contesto sociale dove si era manifestato. Invero, l’aggettivo “imprescindibile” andrebbe riservato alla vita umana. Una qualifica così netta – riservata a un congegno comunque di violenza – porta a concludere che non si poteva operare diversamente? (ancora da “Avvenire” – Maurizio Fiasco)
Prima viene la vita umana di tutti, compresi i violenti e i trasgressori delle regole, poi viene l’individuazione e l’uso dei mezzi atti a mantenere l’ordine. Non trasformiamo lo stato democratico in stato poliziesco, evitiamo la retorica del poliziotto che ha sempre ragione perché rischia la vita, smettiamola di lisciare il pelo ai reazionari trasformando in rivoluzionari coloro che osano dissentire.
Le forze dell’ordine vanno dotate di tutti i dispositivi funzionali al loro delicatissimo compito, ma al contempo bisogna evitare abusi ed esagerazioni. Non è facile, ma è necessario. Nei casi di Olbia e Genova era proprio necessario l’uso del taser? Probabilmente chi lo ha fatto non sapeva che a certe persone il taser può procurare la morte.
Certi inseguimenti cruenti di soggetti che non si fermano all’alt sono proprio indispensabili? Certi interventi contro i manifestanti sono volti ad evitare degenerazioni delle proteste o sono vere e proprie intimidazioni e repressioni violente? Pensiamo di rassicurare i cittadini contribuendo a creare un clima di tensione? Viene prima la repressione o la prevenzione? La difesa oltranzistica dell’operato delle forze dell’ordine non fa bene né alle forze dell’ordine né alla società. Bisogna ragionare!
Non pretendo che i poliziotti porgano l’altra guancia, ma nemmeno accetto che si lascino trasportare da una mentalità aggressiva e violenta per combattere l’aggressività e la violenza. Discorsi impopolari, scomodi, difficili e delicati con cui peraltro si dovrebbe misurare l’indice di democrazia di una società.