Con una recente sentenza la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che un “paese di origine sicuro” deve essere tale per tutti gli abitanti e su tutto il suo territorio. Ha detto anche che gli stati membri dell’Unione Europea possono decidere autonomamente quali paesi considerare “sicuri”, ma che i giudici nazionali devono avere la possibilità di contestare questa definizione, nel caso in cui ritengano che non sia in linea con le direttive europee.
Questa decisione era molto attesa in Italia: a chiedere alla Corte di pronunciarsi erano stati proprio dei giudici italiani, che negli scorsi mesi si erano opposti alla decisione del governo di Giorgia Meloni di ampliare la lista dei “paesi sicuri” includendo anche paesi come l’Egitto e il Bangladesh. Le domande di asilo presentate dai migranti che arrivano da questi paesi possono essere esaminate con una procedura accelerata, che si svolge in modo più rapido e sommario e soprattutto permette di detenere i migranti nei centri in Albania mentre aspettano l’esito. Inserire un paese nella lista di quelli considerati “sicuri” rende inoltre più facile respingere le richieste di asilo delle persone che provengono da quel paese, e quindi espellerle.
L’espressione “paese sicuro” fa riferimento a un concetto ben preciso, contenuto in una direttiva europea del 2013, che chiarisce le procedure da seguire per esaminare le domande di protezione internazionale presentate dai migranti che arrivano in un paese dell’Unione Europea. Riassumendo, secondo la direttiva un paese può essere considerato “sicuro” se rispetta le libertà e i diritti civili e ha un ordinamento democratico.
Ogni paese dell’Unione può decidere autonomamente quali paesi considerare “sicuri”, sulla base di alcuni criteri fondamentali. Nel tempo questo ha creato varie storture. Da anni, per esempio, il governo italiano considera “sicuri” paesi dove il rispetto dei diritti umani è quantomeno opinabile: come la Tunisia, governata da un regime illiberale che da anni porta avanti una campagna di discriminazione nei confronti delle persone che provengono dall’Africa subsahariana.
L’interpretazione data oggi dalla Commissione è quella che già usavano molti giudici. Nonostante questo il governo italiano aveva interpretato la norma in modo diverso, definendo come complessivamente “sicuri” anche paesi che non lo sono su tutto il loro territorio, o lo sono solo per alcune categorie di persone. La Corte ha dato torto a questa interpretazione, e ragione invece alle decisioni dei giudici che negli scorsi mesi hanno bloccato il trasferimento dei migranti nei centri in Albania.
Il diritto dell’Unione Europea ha preminenza su quello italiano, come sancito anche dalla Costituzione, e quindi il governo dovrà per il momento adattarsi a questa decisione.
La Corte però ha fatto anche presente che questa interpretazione varrà solo fino a giugno del 2026, quando entrerà in vigore il nuovo e discusso Regolamento sulla procedura d’asilo, che modifica le procedure per gestire i richiedenti asilo nel momento in cui si presentano alle frontiere dell’Unione. Fra le altre cose, il nuovo regolamento ridefinisce il concetto di paese sicuro nell’articolo 59 ed elimina proprio la necessità che un paese sia considerabile tale in tutte le sue regioni e per tutte le categorie di persone. Un migrante arrivato nell’Unione potrà inoltre essere detenuto e incanalato nella procedura accelerata anche se nel paese in cui è arrivato viene accolto meno del 20 per cento delle richieste d’asilo dei suoi connazionali.
Il governo italiano ha criticato la sentenza, sia la parte in cui stabilisce che un giudice nazionale possa esprimersi in merito alla lista dei “paesi sicuri” stilata dal governo, sia quella sull’interpretazione della definizione. In un comunicato ha detto che passerà i dieci mesi mancanti all’entrata in vigore del nuovo regolamento a «cercare ogni soluzione possibile, tecnica o normativa» per portare avanti la sua politica. (ilpost.it)
Mia madre, ingenuamente ma acutamente, metteva in discussione se ai migranti convenisse venire in Italia per essere trattati “cme i rosp al’ sasädi”. Gira e rigira infatti non li vuole nessuno, vengono considerati sostanzialmente come soggetti indesiderati da rimpatriare al più presto a costo di scatenare infiniti conflitti fra governo e magistratura, fra norme Ue e nazionali, fra sicurezza nei Paesi dove i diritti vengono praticamente calpestati e sicurezza nel nostro Paese patria (?) del diritto.
Ad una persona che fugge disperatamente dal proprio Paese affrontando rischi mortali non si risponde con il dettato costituzionale – il diritto di asilo in Italia è sancito dall’articolo 10 della Costituzione, che stabilisce che uno straniero, a cui sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge – si risponde con cavilli da azzeccagarbugli pur di mandarla a casa previa detenzione nei lager transitori.
C’è voluta la Corte di giustizia europea per chiarire principi lapalissiani ignorati e/o aggirati vergognosamente dal governo italiano.
Oltre dimostrare la mancanza di senso etico i nostri governanti ignorano o fanno finta di ignorare i principi giuridici elementari, non accettano la preminenza delle norme europee su quelle nazionali e non riconoscono la funzione dei giudici nell’applicazione della legge.
Non so quale di questi aspetti sia il più grave: sono tra di loro collegati e costituiscono i principi base del nazional-populismo sempre più imperante.
Non mi faccio illusioni, tra dieci mesi il nuovo regolamento comunitario salverà le capre egualitarie con i cavoli discriminatori. Nel frattempo il ministro della (in)giustizia italiano continuerà ad implementare una serie di cazzate da ex-magistrato opportunista, fazioso e rovinoso.
La gente continuerà a credere che l’immigrazione sia una piaga da combattere in quanto colpevole di tutti i nostri mali. Persino Lucia Annunziata usa un linguaggio equivoco al riguardo: “Non c’è molto da dire ma va detto. E nel più semplice dei modi: noi donne, noi donne europee, abbiamo bisogno di cominciare una discussione vera su quello che l’immigrazione sta portando nei nostri paesi; sul disagio, e sulle vere e proprie minacce alla nostra incolumità fisica che avvertiamo nelle strade, sui bus, nei quartieri delle nostre città. Una franca discussione su come evitare che la giustissima “accoglienza” di chi ha bisogno diventi la vittoria di Pirro della nostra sicurezza e indipendenza. Mi pare che qualcosa si muova in questo senso fra le donne tedesche. E se è così saremo con loro”.
Anche dovendo ammettere che l’immigrazione comporti problemi non si deve partire dalla paura di essere minacciati, ma semmai dalla solidarietà con chi soffre, dai reciproci vantaggi, dal rispetto dei diritti che non può e non deve mettere in competizione i poveri tra di loro.
Mentre la destra fa la sua demagogica battaglia securitaria, la sinistra non riesce a coniugare le sicurezze nostrane con quelle dei migranti e tenta di recuperare il tempo perduto e la propria incapacità politico-programmatica teorizzando “l’accoglienza sì ma non troppo”.
L’immigrazione, come la guerra, è un tema così divisivo da buttare all’aria gli schemi politici tradizionali. Per farla breve ammetterò di non riuscire a votare il partito democratico anche e soprattutto perché lo vedo a dir poco timido su questi temi che invece richiederebbero sensibilità umana e coraggio culturale prima e più che abilità politica.