“Pagare dazio” è un modo di dire che significa subire le conseguenze di un errore o di un comportamento sbagliato. L’espressione deriva dal contesto storico medievale, quando il “dazio” era una tassa da pagare per far transitare merci attraverso i confini di un comune o territorio. Quindi, “pagare dazio” metaforicamente indica il prezzo da pagare per le proprie azioni, spesso in termini di sofferenza o punizione.
La situazione a livello internazionale è analoga a quella medievale (è già detto tutto…), mentre in senso metaforico dovremmo andare alla ricerca degli errori commessi che ci stanno portando a pagare dazio.
Nel panorama dell’insensatezza generale il presidente Sergio Mattarella afferma: «I dazi sono inaccettabili per noi, ma dovrebbero esserlo per tutti i Paesi del mondo. Una collaborazione su regole leali è indispensabile. Bisogna impegnarsi perché queste regole siano rispettate, anche se sappiamo che non sempre questo avviene». Perché la «tessitura» di collaborazione tra i Paesi, che poggia sul libero commercio sia rafforzata, e così la fiducia: «Così si garantisce la pace». «La nostra posizione è chiarissima», conclude il presidente. «Per la pace nel mondo e per il vantaggio delle popolazioni occorre avere mercati aperti: è una regola di civiltà che da tanto tempo è stata affermata». E che non dovrebbe essere modificata.
Non c’è dubbio che la cosiddetta guerra dei dazi sia causa-effetto del clima di guerra generale che stiamo vivendo. Perché siamo arrivati a questo punto? L’egoismo individuale si è fatto egoismo di Stato e i due egoismi vanno perfettamente a braccetto verso la catastrofe. Tutti i freni si sono rotti, non si è più nemmeno in grado di cambiare marcia a seconda della situazione, rimane solo il pedale dell’acceleratore su cui pigiare nell’illusione di arrivare primi.
Gli Usa stanno precipitando nel gorgo della politica del più forte, l’Europa si sta sciogliendo come neve comunitaria al sole (sic!) dei sovranismi e dei nazionalismi: Usa ed Europa erano e dovrebbero essere i due punti d’appoggio nella ricerca degli equilibri democratici internazionali, sono diventati i principali fattori di squilibrio.
Si vis pacem para datium (latino peraltro maccheronico)? Se entriamo in questa logica perversa in cui ci vuole trascinare Donald Trump, non ne usciamo vivi. E se provassimo ad andare per la nostra strada senza imporre dazi ad alcuno e battendo testardamente la strada del libero commercio? E se considerassimo la collaborazione tra i Paesi non tanto una virtù ma addirittura una necessità? E se l’Europa avesse la calda freddezza di non rispondere alle deliranti missive del presidente Usa? E se lasciassimo gli americani fare indigestione dei loro beni (a l’ozlèn ingordi ag crépa al gòz)? E se provassimo una buona volta a dialogare, non per evitare il peggio, ma per cercare il meglio?
E chi ha detto che l’Europa non può fare a meno degli Usa? Di questi Usa se ne deve fare a meno. Non dimentichiamo che “chi schiva ‘n mat fa ‘na bòn’na giornäda”.
Mio padre, amante dei proverbi e dei modi di dire, riusciva anche in questo campo a mettere il proprio grano di sale. Era solito citare due proverbi: “chi fa da sè fa per tre” e “l’unione fa la forza”. Aggiungeva: “E l’ora cme s’à da far”. È il dubbio atroce che blocca i Paesi europei. Uniti sì, ma pacificamente contro l’arrogante follia degli Usa.