Via gli studenti stranieri da Harvard. L’ultima trovata di Donald Trump è un nuovo attacco all’Università più prestigiosa al mondo, che proprio accogliendo nelle sue aule ragazze e ragazzi da ogni angolo della terra ha costruito la sua reputazione. Una decisione giustificata con la motivazione di combattere l’antisemitismo. In realtà, un passo in avanti nella crociata contro quell’America liberal e progressista che il presidente detesta, cortesemente ricambiato. (La Stampa – Francesca Schianchi)
Forse non ci rendiamo conto del pericolo che sta correndo la democrazia: sì, perché purtroppo il “la” per l’esecuzione della sinfonia (anti) democratica, volenti o nolenti, lo danno gli Usa.
Davanti ai drammatici scenari di guerra che giorno dopo giorno si fanno più allarmanti, c’è chi si diverte a depistare il dibattito, ponendo il (falso) problema sul chi sia, fra Trump e Netanyahu, il burattino e il burattinaio: si accettano macabre pirandelliane scommesse. Propendo per la teoria dei reciproci burattini/burattinai. Il vero problema però è che il mondo è diventato un teatro di burattini.
In questo momento storico occorrerebbe tenere la spina dorsale ben dritta per non ascoltare le sirene d’oltreoceano. Invece, mentre l’Europa balbetta diverse lingue, tutte peraltro poco democratiche, l’Italia sta recitando la parte della spugna che assorbe opportunisticamente la dottrina Trumpiana, fatta di razzismo, discriminazione, egoismo, nazionalismo, etc. etc.
Adesso c’è di mezzo anche la scusa dell’antisemitismo, che serve a mettere la sordina all’indignazione sempre più larga e profonda verso la vergognosa politica israeliana. Trump ha concesso a Netanyahu una vera e propria licenza d’uccidere e quindi come può fare la più trumpiana fica del bigoncio europeo a rispettare una storica linea di politica internazionale che riusciva a combinare l’amicizia col popolo israeliano con l’attenzione e la solidarietà verso il popolo palestinese e il mondo arabo-musulmano?
E pensare che, al di là delle sacrosante motivazioni etiche, la politica estera italiana in passato ci ha preservato dall’impatto del terrorismo islamico, a dimostrazione che al terrorismo non si deve fare una guerra armata ma disarmata, al fine di rimuoverne le cause consistenti principalmente nel consenso dei disperati.
Invece stiamo sprofondando in un’acritica linea di collaborazionismo con Trump e Netanyahu: non si tratta di una passeggera ventata antistorica legata soltanto a squallidi personaggi, ma rischia di diventare un nuovo progressivo assetto geopolitico a prescindere dai valori e dai principi della tradizione democratica occidentale.
Trump non rappresenta soltanto la propria sete di potere a livello nazionale, personale e castale, ma una nuova cultura, vale a dire un diverso modo di intendere la vita politica e sociale: ecco spiegato l’accanimento verso le università, vale a dire le sedi dove l’eredità del sapere si combina con l’ansia della ricerca culturale e con l’ardore giovanile dell’impegno civile.
Netanyahu non è un incidente di percorso nella storia di Israele, ma incarna una mentalità profonda, diffusa e condivisa. Nemmeno la folle gestione della questione degli ostaggi è riuscita a innescare una consistente protesta nella popolazione israeliana.
Non ho idea cosa possa occorrere alle società americana e israeliana per smascherare gli inganni di cui sono prigioniere più o meno consapevoli.
Quando in Italia scattò la trappola del berlusconismo qualcuno sosteneva che occorresse una trentina d’anni per farne scoppiare le contraddizioni e preparare una classe dirigente alternativa. Di anni ne sono passati una cinquantina e siamo ancora impantanati nel berlusconismo riveduto e scorretto.
Persino la religione è coinvolta in questi autentici disastri anti-democratici, preferendo la compromissione col potere alla contestazione del potere: di qui la mia apprensione per il papato di Leone XIV, partito più sul piano dell’impossibile dialogo che su quello dell’aperto e fattivo dissenso. Riuscirà un papa americano a resistere all’attuale coinvolgente e ingannevole americanismo? Riuscirà a mettere i paletti all’ecumenismo (Chiesa ortodossa putiniana) e al confronto interreligioso (ebraismo guerrafondaio), non tanto dal punto di vista dogmatico, ma sul piano della prassi pacificatrice nei confronti delle coscienze, delle comunità e del mondo.
Non è un caso che la gerarchia cattolica statunitense abbia rilasciato qualche sciagurata cambiale al trumpismo, giustificata con l’anti-abortismo e il ritorno ai tradizionali e discriminatori schemi etici, mentre la gerarchia ebraica è da sempre addirittura parte integrante del sistema di potere israeliano, che ha in Netanyahu non una scheggia impazzita ma un interprete credibile e pertinente.
In questo pericoloso crocevia della storia attuale, quale ruolo può giocare l’Europa, che sembra più impegnata a guadagnare tempo che a decidere sulla fedeltà ai propri fondanti valori e principi. L’unico personaggio che si sforza di toccare questa fondamentale problematica è il nostro presidente della Repubblica.
“Un attore globale deve saper governare sfide strutturali di portata globale, stabilendo rapporti strutturati e proficui con tutti i Paesi del mondo”, ha insistito Mattarella. L’Europa, ha ricordato in ogni tappa della sua missione di due giorni a Bruxelles, vive un periodo di transizioni internazionale che porterà a nuovi equilibri. Un periodo segnato da guerre che portano “instabilità” e “sofferenza umana”.
E “se l’Ue sarà assente o inefficace negli scacchieri” internazionali, “altri attori prenderanno il sopravvento in queste aree del mondo, come stanno palesemente cercando di fare, sostituendosi all’Europa”, ha scandito il presidente della Repubblica. Senza tralasciare – con riferimento implicito agli Usa – il compito dell’Ue di tessere reti, in un periodo “di dichiarata sfiducia da diverse parti sul valore dell’apertura dei mercati. Quanto più le istituzioni comunitarie si dimostrano trasparenti e efficienti, tanto più se ne rafforza l’indispensabile consenso sociale”, ha rimarcato Mattarella. (ANSA.it)
Purtroppo alla tanta convinzione di Mattarella fa riscontro la vergognosa titubanza di Giorgia Meloni, che non è assolutamente in grado di rappresentare e interpretare le aspirazioni del popolo italiano, ma si accontenta di fare la burattina di fila in un’orchestra intenta a suonare la marcia funebre della democrazia e della pace.
Per proseguire nella metafora: qual è la differenza fra burattino e marionetta? Il burattino è manovrato dal basso dalle mani del burattinaio che infila la mano all’interno del burattino, usando il pollice e il medio (o il mignolo) per muovere le braccia, mentre l’indice sostiene la testa. In questo modo, il burattinaio può controllare i movimenti del burattino, facendolo parlare, camminare, e compiere altre azioni.
Una marionetta invece è animata tramite una serie di fili fissati al suo corpo e collegati a una struttura di controllo chiamata “croce” o “bilancino”. Il marionettista, muovendo questa croce con una mano, può tirare i fili e far compiere alla marionetta movimenti complessi, come camminare, parlare, gesticolare e persino esprimere emozioni.
Giorgia Meloni assomiglia più a un burattino o a una marionetta? E chi è il burattinaio e il marionettista che le dà vita? Trump e/o Netanyahu? Chissà chi lo sa!
Alla nostra premier basta lisciare il pelo alla sua qualunquistica minoranza popolare e parlamentare, dandole l’illusione di stare vicino ai manovratori del treno che viaggia sul binario del disastro. Il discorso si allarga: gli italiani sono burattini o marionette peraltro di secondo livello, vale a dire burattini o marionette non nelle mani di un burattinaio o di un marionettista, ma di un burattino/marionetta che li bastona fra le amare risate di un’assurda platea?