“Il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni – informa Palazzo Chigi – ha avuto oggi una conversazione telefonica con il Santo Padre sui prossimi passi da compiere per costruire una pace giusta e duratura in Ucraina. Il colloquio – si spiega – fa seguito alla telefonata di ieri con il Presidente Trump e con altri leader europei, nel corso della quale è stato chiesto al Presidente del Consiglio italiano di verificare la disponibilità della Santa Sede a ospitare i negoziati”. Meloni ha riscontrato l’apertura di papa Prevost: “Trovando nel Santo Padre conferma della disponibilità ad accogliere in Vaticano i prossimi colloqui tra le parti – conclude Palazzo Chigi – il Presidente del Consiglio ha espresso profonda gratitudine per l’apertura di Papa Leone XIV e per il suo incessante impegno a favore della pace”.
“Speriamo che la Cocomeri non riesca ad intortare Prevost. Con Francesco ce l’aveva fatta… ma mi sa che questo papa sia più politico o almeno lo spero…La furbetta ha già chiesto (dicono) udienza entro 10 giorni. Ma non c’è prima Mattarella?”.
Questo breve ma ficcante messaggio, giuntomi da un caro amico, attento osservatore delle cose politiche e religiose, fotografa perfettamente la situazione. Da una parte una premier, che lui chiama sarcasticamente “Cocomeri” e che gira a vuoto come il garzone di mio padre (non combinava niente di buono…), dall’altra parte un papa a cui tutti stanno tirando la tonaca bianca (sarà già diventata grigia…).
Giorgia Meloni, o Cocomeri come dir si voglia, vuole far credere di essere immanicata a livello internazionale: effettivamente tutti sembrano darle ascolto, in realtà la considerano una mascotte, la compatiscono (coi fanciulli e coi dementi spesso giova il simular…).
Si difende a livello mediatico: questa è l’unica sua forza (fino a quando?). In realtà non si capisce da che parte stia con la scusa di fare la “pontiera”, tra la Ue e Trump, tra i sovranisti e gli europeisti, tra i post-fascisti e i post-democratici, tra i leghisti e i nazionalisti, adesso anche tra la politica e il Vaticano.
Forse l’unico merito che ha è quello di essere un vero e proprio “estrat äd confuzion” e quindi di evidenziare plasticamente il casino che regna sovrano a livello politico internazionale e nel suo governo nazionale. Gli allocchi applaudono, gli scettici scrollano le spalle, gli snobboni ridono, le persone serie piangono.
Ultimamente sta alzando un po’ troppo l’asticella delle sue esercitazioni pseudo-diplomatiche: con Trump se la può cavare, salvo i pochi secondi che il tycoon impiegherà per darle il benservito, allorché non gli farà più comodo averla fra i piedi; col Vaticano avrà vita dura, perché in quell’ambiente hanno un’esperienza tale da riconoscere i bagoloni a prima vista e da smascherare quanti si credono i più furbi della compagnia.
Per quanto concerne papa Leone XIV mi rifaccio a quanto già scritto. Premesso che non mi piace affatto vedere la Chiesa-istituzione protagonista della politica anche se a fin di bene, ammettendo pure che un papa politico possa rappresentare un valido riferimento per il mondo alla deriva, mi permetto di osservare cinicamente come la politica sia un terreno molto difficile da praticare. Agh vôl al cul plä!
Con licenza parlando, non so come sia messo al riguardo Prevost: fatto sta che tutti sono in fila per sfruttare l’audience di cui gode. Lui al momento non fa nemmeno una piega, forse è assai meno ingenuo di quanto si possa pensare. E poi, se gira per le stanze vaticane (sembra preferirle a casa Santa Marta), di furbastri dai quali farsi aiutare ne trova fin troppi.
Don Andrea Gallo diceva fuori dai denti: «Non mi curo di certe sottigliezze dogmatiche, perché mi importa solo una cosa: che Dio sia antifascista!». Mi permetto di allargare il discorso al vicario di Dio in terra. Dopo di che per la signora Cocomeri la vita nei rapporti col Vaticano non sarebbe così facile.