L’atlantismo ridotto a sciocchezzaio internazionale

La mia posizione è che l’Ucraina deve essere messa in una posizione di forza per poi decidere quando e come aprire i negoziati. Se ora iniziamo a parlare fra di noi che forma prenderà la pace, rendiamo la vita molto facile ai russi che potranno rilassarsi, fumare un sigaro e guardare il nostro dibattito in tv”. Lo ha detto il segretario della Nato, Mark Rutte, dopo l’incontro con il presidente lituano Nauseda. Rutte ha tuttavia precisato che nei regimi democratici “un certo grado di dibattito è inevitabile”. (Rai News.it)

Si tratta della perfida riformulazione della locuzione latina “si vis pacem, para bellum” («se vuoi la pace, prepara la guerra»). Si parte dall’idea che i rapporti fra le genti siano simili ad una partita a poker con la necessità di saper bluffare: vince chi tiene duro a costo di incendiare le sorti di mezzo mondo.

Questa è la posizione strategica della Nato, alleanza atlantica a cui noi aderiamo, molto spesso, acriticamente. Forse è opportuno fare una breve digressione storica (da Wikipedia), per capire il logorio bellico dell’atlantismo e la modernità pacifica del neoatlantismo.

L’atlantismo è la visione dello sforzo cooperativo tra l’Europa occidentale e le nazioni del Nord America (soprattutto gli Stati Uniti) in tema di economia, politica e difesa militare, con lo scopo dichiarato di mantenere sicure le nazioni partecipanti a questo sforzo cooperativo e proteggere i valori che li accomunano quali libertà individuale, democrazia, economia di mercato e stato di diritto.

La NATO è il luogo principale nel quale si discute e si prendono le decisioni su temi di interesse atlantico. In tale ambito vengono anche portati avanti progetti comuni. 

Il termine neoatlantismo indica una visione della politica internazionale che si diffuse in Italia nel secondo dopoguerra. Secondo questa visione, l’Italia doveva collaborare con gli Stati Uniti nella difesa dell’Occidente dalla minaccia comunista, ma doveva anche impegnarsi a dialogare coi paesi del Medio Oriente e del Terzo mondo, con l’obiettivo di conquistare al Paese una posizione strategica all’interno dello scacchiere mediterraneo. Fu uno strumento di tale politica il sostegno delle aspirazioni indipendentiste delle ex colonie francesi e britanniche. La migliore “arma” di questa nuova politica italiana fu il dialogo culturale, politico ed economico.

Un’applicazione del neoatlantismo fu la decisione di Enrico Mattei, presidente dell’Eni, di siglare accordi petroliferi con l’Iran, che determinarono un notevole ribasso del prezzo della benzina. Fu tuttavia una politica non coronata dal successo. Tra le cause, la sopravvalutazione della posizione politica internazionale dell’Italia, la mancata accettazione dell’apertura a sinistra da parte del partito di governo, la Democrazia Cristiana, e la difficoltà di avere adeguate risorse finanziarie, che fruttarono più volte all’Italia le accuse di “dilettantismo” e di “inaffidabilità atlantica”.

Meglio il dilettantismo di chi batte difficili sentieri di pace che il professionismo di chi percorre collaudate strade di guerra. Meglio la tormentata inaffidabilità della scontata adesione degli yes-country.

In buona sostanza, la storia dovrebbe insegnarci a stare nell’alleanza occidentale con la schiena dritta, non supinamente attestati sulla visione che trova nella guerra il suo caposaldo e il suo assoluto marchingegno. Esattamente l’opposto di quanto da tempo sta facendo l’Italia, che col governo Meloni sta addirittura impostando la politica estera sul mero opportunismo di galleggiamento.

Al di là delle autentiche e contraddittorie sciocchezze propinateci da Mark Rutte resta il problema di elaborare una strategia di pace su cui innestare un serio e costante impegno diplomatico, che attualmente dovrebbe venire dalla Ue e, all’interno dell’Europa, anche e soprattutto dall’Italia, la quale nel tempo ha conquistato (grazie alle coraggiose intuizioni dei cattolici al potere) una considerazione internazionale, che va ben oltre il potere economico e militare del nostro Paese.

Forse l’ultimo personaggio politico italiano capace di incarnare, pur con tanti limiti e difetti, questo ruolo autonomo del nostro Paese sulla scena mondiale è stato Romano Prodi. Ecco spiegata “l’inspiegabile acredine” riservata a lui da Giorgia Meloni. Ricordate le fette di mortadella e i brindisi parlamentari esibiti in Parlamento dai berlusconiani alla caduta del governo Prodi? Siamo ancora lì!

Non c’è più Berlusconi, in compenso c’è Trump. La posso dire grossa? Mussolini stava a Hitler come Berlusconi sta a Trump. Cosa ci possiamo aspettare dall’attuale governo, se non una sbrigativa, acritica e masochistica adesione alle politiche di Trump via Musk. Questo è il neoatlantismo di Giorgia Meloni, ben tollerato da Ursula von der Leyen e dai traballanti dei dell’Europa disunita.

Una conclusione in musica: “È bella la guerraevviva la guerraevviva!” (la Forza del destino di Giuseppe Verdi).

Una conclusione consumistica alla maniera di Mike Bongiorno: “Grappa Trumpino sigillo nero (ogni riferimento a questo colore è puramente causale!)”.