C’è bisogno di sicurezza. Impossibile negarlo, tra spaventose minacce di guerra e inedite inquietudini come quelle suscitate dall’intelligenza artificiale. Il disegno di legge sicurezza, appena approvato dalla Camera, risponde a questo bisogno? Promette ordine, ma crescono le proteste contro un provvedimento da molti definito liberticida. Non si tratta infatti – come spiegano Antigone e Asgi, due importanti associazioni in difesa dei diritti umani – di un’ennesima espressione di panpenalismo (creazione di nuovi reati, accrescimento delle pene, introduzione di aggravanti ecc.) ma di un salto di qualità nelle forme e tecniche di controllo sociale.
A giudicare da questo disegno di legge sembrerebbe che grandi pericoli vengano oggi dalla resistenza passiva o dalla protesta non violenta. Mentre la violenza, in tante forme diverse, è al centro della comunicazione, corpi volutamente disarmati trasmettono principi, valori, idee con una forza straordinaria, specie se si uniscono ad altri ugualmente disarmati. Ora si cerca di fermarli. (dal quotidiano “Avvenire” – Agostino Giovagnoli)
Questo articolo, che consiglio di leggere con grande attenzione, mette il dito in una piaga emergente con insistenza dall’indirizzo politico dell’attuale governo e della sua maggioranza di destra. Debuttarono con la polizia a manganellare gli studenti universitari, hanno continuato su questa strada e ora presentano un disegno di legge, in via di approvazione parlamentare, che rappresenta il subdolo tentativo di criminalizzare la protesta non violenta.
In un andazzo governativo incensato vergognosamente dai media mancava l’altro braccio della tenaglia, volto a preservare e controllare l’opinione pubblica rispetto ad ogni pur minimo azzardo di protesta.
La filosofia è quella della famosa fiaba del lupo e dell’agnello: chi crea insicurezza? La casistica la prendo dal pezzo succitato. Tutti coloro che, anche senza alcun ricorso alla violenza, osano opporsi al “disordine” regnante nella società e protestano contro sua maestà l’ingiustizia. I giovani che si mobilitano contro il dramma delle guerre; coloro che richiamano vigorosamente l’attenzione sull’emergenza ecologica; quanti ostacolano la realizzazione di opere pubbliche in contrasto con l’integrità ambientale; i detenuti che, per richiamare l’attenzione sulle loro disumane condizioni di vita, fanno proteste come ad esempio uno sciopero della fame; i ricoverati nei centri di accoglienza per migranti che protestano per il degrado in cui sono costretti a vivere; chi è senza casa e occupa un appartamento vuoto; gli accattoni che inquinano i centri storici delle città. Un agghiacciante elenco di intenti chiaramente e vergognosamente repressivi.
Il disegno di legge sicurezza sembra esprimere una grammatica del potere che si piega ai forti e opprime i deboli. Se sarà approvato definitivamente, rischia di portare più dolore e sofferenze che provocheranno rabbia, odio, violenza contro gli altri e contro sé stessi. E, quindi, meno sicurezza. Molti costituzionalisti sono convinti che in questo ddl diverse disposizioni contraddicano la Costituzione. Appare soprattutto incostituzionale l’impianto di fondo, perché respinge la centralità della persona, che è alla base della Carta. C’è davvero da sperare che il Senato cambi profondamente questo disegno di legge. (è la conclusione dell’articolo di Agostino Giovagnoli)
E la chiamano sicurezza! Io preferisco chiamarla repressione!
A proposito di tenaglia antidemocratica, ricordo che mio padre, per sintetizzarmi in poche parole l’aria che tirava durante il fascismo, per delineare con estrema semplicità, ma con altrettanta incisività, il quadro che regnava a livello informativo, mi diceva: se si accendeva la radio “Benito Mussolini ha detto che…”, se si andava al cinema con i filmati Luce “il capo del governo ha inaugurato…”, se si leggeva il giornale “il Duce ha dichiarato che…”. Tutto più o meno così ed è così, in forme e modi più moderni ma forse ancor più imponenti e subdoli, anche oggi in Italia.
Del fascismo mi forniva questa lettura di base, tutt’altro che dotta, ma fatta di vita vissuta. Era sufficiente trovare in tasca ad un antifascista un elenco di nomi (nel caso erano i sottoscrittori di una colletta per una corona di fiori in onore di un amico defunto) per innescare una retata di controlli, interrogatori, arresti, pestaggi. Bastava trovarsi a passare in un borgo, dove era stata frettolosamente apposta sul muro una scritta contro il regime, per essere costretti, da un gruppo di camicie nere, a ripulirla con il proprio soprabito (non c’era verso di spiegare la propria estraneità al fatto, la prepotenza voleva così): i graffitari di oggi sarebbero ben serviti.
Se, per tenere puliti i muri e per tenere indenne la quiete pubblica, siamo disposti anche oggi a cose simili, non mi resta che diventare graffitaro, che unirmi a tutti gli agnelli, i quali, in modo pacifico e partendo dal basso delle ingiustizie, inquinano l’acqua del lupo che staziona nell’alto del potere.
Lo chiamavano fascismo e oggi come lo chiamiamo?