Ferma condanna e forte indignazione ha suscitato, in Italia e nel mondo, il barbaro attacco condotto da Hamas contro inermi cittadini israeliani lo scorso 7 ottobre 2023″, afferma il capo dello Stato Sergio Mattarella sottolineando tra l’altro che è più che mai necessario giungere a un cessate il fuoco immediato per porre termine alla sequela di orrori che si sono susseguiti dal 7 ottobre dello scorso anno ad oggi e scongiurare l’allargamento del conflitto, prospettiva che gli accadimenti recentissimi rendono purtroppo vicina e concreta”. (ANSA.it)
Come non essere d’accordo col nostro Presidente? Ma non basta! L’analisi deve andare più a fondo e deve estendersi al periodo precedente il 07 ottobre 2023.
“Credo che ognuno di noi, se fosse nato in un campo di concentramento e non avesse da cinquant’anni nessuna prospettiva da dare ai figli, sarebbe un terrorista”. Cosi parlava sul dramma del Medio Oriente Giulio Andreotti, sette volte presidente del Consiglio e cinque volte ministro degli Esteri, per decenni protagonista della politica italiana.
Andreotti pronunciò queste parole da senatore a vita intervenendo in un dibattito al Senato sulla guerra in Libano e ricordava che nel ‘48 l’Onu aveva creato lo Stato di Israele e lo Stato palestinese, ma “lo Stato di Israele esiste, lo Stato arabo no. Era il luglio 2006 e alcuni tra i democristiani riciclati a destra e a sinistra si indignarono per le sue parole.
Nella striscia di Gaza si torna a seminare morte, per una settimana i continui attacchi israeliani hanno causato 192 vittime palestinesi, 58 erano bambini e 34 donne, secondo il ministero della sanità di Hamas. Dodici gli israeliani che hanno perso la vita. A Gaza city nel crollo di una casa bombardata dai militari israeliani sono morti 8 bambini e due donne.
Scene di guerra che Andreotti conosceva bene. All’ex leader Dc scomparso nel 2013, figura politica discussa e discutibile per i suoi rapporti accertati con la mafia, molti osservatori riconoscevano in politica estera di essere stato un ponte solido tra il mondo cattolico e quello musulmano, ambasciatore realista nei tentativi di pace nel conflitto arabo israeliano, convinto dell’importanza della politica d’inclusione nello scacchiere mediterraneo e della convivenza tra ebrei, cristiani e musulmani. Una posizione che gli fece guadagnare il titolo di “amico degli arabi”, da Arafat a Gheddafi. (Strump.it)
Non sono mai stato andreottiano, ma mi riconosco nella succitata sua analisi, validissima ancor oggi, e do atto alla classe politica democristiana di avere tenuto, pur nel rispetto delle alleanze internazionali, una posizione aperturista nei confronti del mondo arabo.
Mia sorella, di ritorno da un viaggio/pellegrinaggio in Terra Santa, mi riportò, con la sua consueta dissacrante onestà intellettuale, le sue impressioni politiche in ordine ai rapporti tra israeliani e palestinesi: i primi, mi disse, approfittano e sfruttano i secondi, che purtroppo non capiscono niente e reagiscono alle sistematiche violenze subite con altrettanto sistematiche reazioni scomposte e violente.
É una versione geopolitica che ho ritrovato in parecchi amici e conoscenti di ritorno da viaggi in Israele e Palestina: un secco e realistico quadro dei rapporti in uno dei punti più delicati del globo. Alla intransigente e prepotente posizione israeliana dettata soprattutto dagli esponenti del potere religioso degli ebrei fa riscontro una confusa, velleitaria e religiosa reazione palestinese.
Non si può quindi osservare la storia come se tutto cominciasse dal 07 ottobre 2023. Basti ricordare come l’Onu abbia intimato ad Israele di ritirarsi dai territori occupati fin dal 1967: si tratta della Cisgiordania e di Gerusalemme Est, prese alla Giordania; di Gaza e del Sinai, presi all’Egitto; delle alture del Golan, prese alla Siria. La restituzione incondizionata è stata richiesta e mai attuata.
Non è giusto far partire il cronometro dalla pur sconvolgente e inaudita azione terroristica di Hamas di un anno fa, bisogna andare indietro nel tempo e nello spazio per comprendere i termini del conflitto e provare ad uscirne vivi.
Non so se l’ipotesi dei due popoli-due stati si agibile vista la piega presa dai rapporti, considerato l’odio regnante fra i contendenti, tenuto conto della debolezza istituzionale di chi dovrebbe garantire questo problematico assetto.
Ricordo una vicenda tratta dal mio curriculum professionale. Si discuteva di un problema molto delicato e difficile: un collega, che lo aveva seriamente studiato, propose una soluzione ragionevole, al che il solito saputello d’occasione rispose che di simili soluzioni se ne sarebbero potute escogitare mille. Il bravo ed impegnato collega ribatté: “Mi accontento che me ne fornisca almeno una…”. La risposta fu un silenzio imbarazzato.
Al riguardo tolgo dal cassetto un episodio gustoso da raccontare. Si rappresentava il Trovatore di Giuseppe Verdi, un’opera “da loggione”, nel senso che sembra propria strutturata e concepita per soddisfare i gusti degli appassionati trincerati in piccionaia. Interprete principale era il tenore Richard Tucker, un fuoriclasse americano non molto noto al grande pubblico italiano, ma decisamente un grande cantante. Ebbene, alla prima rappresentazione, il loggione non gradì certe sue emissioni vocali di scuola americana e contestò ripetutamente la sua performance in modo clamoroso. Ricordo l’espressione attonita di mio padre, che non riusciva a capire un simile comportamento del pubblico e mi faceva cenni ripetuti di consenso alla interpretazione del grande cantante. Ma il bello venne durante un intervallo. Un loggionista assai critico fu incalzato da mio padre che gli chiese, un po’ provocatoriamente, da quali tenori avesse ascoltato migliori interpretazioni del ruolo di Manrico del Trovatore, in modo da poter così violentemente contestare quella di Tucker. Il loggionista, gonfio della propria ignoranza, rispose seccamente che aveva sentito cantare molto meglio il Trovatore da suo zio. A quel punto mio padre sbottò e chiuse la conversazione con una battuta lapidaria al limite dell’offensivo: “A m’ sa che to zio al fiss un gran äzon”.
Non esistono soluzioni facili per problemi difficili, quindi sotto a chi tocca: a chi si riempie la bocca con lo slogan “due popoli-due stati l’invito pressante a passare finalmente dalle parole ai fatti; a chi non persegue l’obiettivo suddetto con sufficiente convinzione per storico scetticismo, spetta l’obbligo imprescindibile di metterne in campo un altro. L’importante è saper leggere la storia in modo completo e obiettivo, al di là delle faziosità e dei manicheismi, per costruire su di essa proposte serie per il futuro, rifiutandone lo svolgimento a livello di mero odio vendicativo e di reciproci intenti devastanti.