Il consenso resta dunque il principale punto di forza di Meloni, al culmine di questo biennio. Certo, il partito degli astenuti è ancora il primo e i sondaggi misurano sostanzialmente la tenuta delea varie “tifoserie” di appartenenza (più o meno invariate). Ma a differenza degli altri cicli volatili che hanno preceduto la vittoria di FdI del settembre ’22 (il Pd renziano, il M5S dimaiano, la Lega salviniana), proprio questa tenuta comporta due riflessioni.
La prima è che, al momento, Meloni non ha alternative, benché lei stessa sia ossessionata in modo permanente dal complottismo delle Forze oscure del progresso e delle élite. La seconda è che di questo passo, con il campo largo più disunito che mai (per dirla alla Sorrentino), la Sorella d’Italia potrebbe mirare a un altro record: essere la prima presidente del Consiglio a rivincere le elezioni. Sinora non è mai accaduto: i governi uscenti hanno sempre perso al voto, anticipato o no. Ma il 2027 è ancora lontano e in mezzo ci sono vari test importanti (le Regionali di questo autunno e della prossima primavera) e soprattutto la grande incognita del referendum sull’autonomia differenziata. Il pronostico è più che aperto. (da “Il Fatto Quotidiano” – Fabrizio D’Esposito)
Che il consenso a Giorgia Meloni tenga botta o addirittura tenda a crescere è un mistero della politica italiana. Non mi convincono le due riflessioni di Francesco D’Esposito. La mancanza di alternativa non può essere un motivo serio e plausibile, ripiegherei invece sulla totale mancanza di senso critico da parte dei cittadini elettori che hanno ormai assorbito il concetto che fare politica voglia dire fare i furbi e quindi, siccome Giorgia Meloni è senza dubbio una furbacchiona, ben venga. È, tutto sommato, una variante del virus berlusconiano: siccome era capace di fare i propri interessi si sperava che riuscisse a fare anche quelli del popolo italiano. Siccome la Meloni è furba chissà che non sopporti e valorizzi tutte le furbizie del popolo italiano: dal non pagare le tasse in su e in giù.
D’altra parte è così anche per la vergognosa politica estera che la nostra premier incarna: un colpo al cerchio e uno alla botte, un bacio di Tizio e una leccata di Caio, e lo chiamano multilateralismo… Cosa dice la gente? È una furbacchiona, li mette tutti nel sacco e l’Italia ne esce rafforzata nella sua dignità internazionale. A parte che mettere nel sacco Elon Musk sarà una gara dura, così come flirtare con il futuro presidente Usa, così come raccontare alla Ue balle spaziali che prima o poi non riusciranno a stare nel poco posto della penosa politica italiana, gli italiani ci credono o fanno finta di crederci.
In secondo luogo è pur vero che la vocazione alla perpetua sfida elettorale possa essere un punto di forza del regime meloniano, ma si tratta della versione riveduta e scorretta della scorciatoia plebiscitaria dei regimi autoritari: funzionerà e fino a quando? Fintanto che la gente si asterrà dal voto e non ricomincerà ad accettare l’improba sfida democratica nelle piazze e nelle urne.
Qualcuno pensa che sia necessario toccare il fondo per poi risalire. Ho seri dubbi. Intanto ci beviamo, salvo imprevedibili sviluppi, il governo Meloni con tutto quel che segue. Ho già scritto che c’è chi chiama la premier signora Cocomeri (o Angurie come dir si voglia…). É un’arguta variazione sul tema di cui sopra.
A proposito di meloni e di angurie, mio padre raccontava un simpatico aneddoto relativo ad un bambino che, recitando in famiglia la poesia di Natale, cadde in un dialettale strafalcione. “Tanti ingurii al papà” disse. E il papà ironicamente aggiunse: “Sì, e un mlón in tla schén’na a tò mädra”. La “meloni” di destra nella schiena ce l’abbiamo noi e sembra che ci sia paradossale voglia di proseguire negli strafalcioni elettorali.