Mio padre raccontava, relativamente al periodo della seconda guerra mondiale, come dopo l’occupazione tedesca del nostro territorio, per tenere occupata la gente e distoglierla dalla resistenza al nazifascismo, gli occupanti facessero lavorare gli uomini “al canäl”, vale a dire nel greto del torrente per fingere opere utili che alla fine venivano regolarmente eliminate con le ruspe. Questi forzati “sbadilatori” a volte si presentavano “al canäl” senza badile, con la giustificazione di esserselo dimenticato a casa. Forse erano in vena di boicottaggio dal momento che il loro padrone era l’invasore tedesco e il loro lavoro doveva servire a distogliere la gente dalla resistenza.
Di qui il detto “va’ al canäl” utilizzato per mandare qualcuno a quel paese in cui si fanno appunto cose inutili ed assurde. In quel triste periodo ritornò a cantare al teatro Regio il grande tenore Francesco Merli, che aveva mietuto allori negli anni precedenti a Parma e nel resto del mondo. Al riguardo è memorabile una sua esibizione in concerto assieme a Renata Tebaldi, accompagnati al pianoforte, al ridotto del Regio: alla fine l’entusiasmo raggiunse l’isteria e voglio credere a mio padre che rammentava come una parte del pubblico fosse in piedi sopra le poltroncine ad applaudire freneticamente dopo l’esecuzione del duetto finale di Andrea Chenier. Quando ritornò alla ribalta del Regio, però, Francesco Merli, piuttosto anziano, non era più in grande forma vocale e non venne trattato con i guanti. In modo pesante ed inaccettabile, dettato più da cattiveria che da inesorabile atteggiamento critico, il loggione nei confronti del grande tenore Francesco Merli, reo di essersi presentato sul palcoscenico del Regio, nei panni di Manrico nel Trovatore di Verdi, con voce ormai piuttosto traballante, usò la suddetta pesantissima espressione: “va’ al canäl”.
Mio padre raccontava questo disgustoso episodio per bollare l’esagerata ed esibizionistica verve loggionista, ma anche per significare come qualsiasi persona, quando si accorge di non essere più in grado di svolgere al meglio il proprio compito, sarebbe opportuno che si ritirasse, prima che qualcuno glielo faccia capire in malo modo.
In questi giorni, con un acuto messaggino, un mio affezionato amico mi ha proposto il confronto fra due debolezze: quella di papa Benedetto XVI e quella di Joe Biden. Mentre il primo ha avuto la sofferta ma immediata umiltà di gettare la spugna (gesto che ne ha ingigantito la persona), il secondo non trova il coraggio di rinunciare nell’interesse del suo Paese e del mondo intero.
Si dirà che il primo poteva contare sui raggi di luce provenienti dallo Spirito Santo, che però soffia su tutti andando ben al di là dei confini vaticani.
“Io non ho mai rifiutato l’eucarestia a qualcuno” disse una volta, non molto tempo fa, Papa Francesco. Nell’ottobre del 2021, più o meno, lo ha ripetuto al Presidente degli Stati Uniti in persona, che qualche prelato del suo Paese vorrebbe veder ricevere un diniego nel momento in cui si accosta al sacramento, causa la sua posizione sull’aborto.
Joe Biden, invece, è uscito da un colloquio con Bergoglio durato ben oltre un’ora (mai così lungo, tra un Pontefice e un suo predecessore) e si è lasciato sfuggire, tutto contento, quanto segue: “Con il Papa abbiamo parlato del fatto che è contento che sono un buon cattolico e che continuo a ricevere la comunione”. (AGI – Agenzia Italia)
Ebbene, viste l’attenzione e la comprensione ottenute da Bergoglio, consiglierei a Biden di consultarlo anche in merito alla riproposizione della sua candidatura alla Casa Bianca: chissà che non abbia il carisma e l’autorevolezza per farlo ragionare e rinunciare., piegando la rigidità del suo approccio alla carica istituzionale.
Sono un rinunciatario per natura, ma, quando è il momento di fare un passo indietro, non bisogna esitare: nella mia vita e nel mio piccolo ho fatto così, qualche volta ho persino esagerato. Penso, tutto sommato, di non avere sbagliato, almeno lo spero.
Massimo D’Alema, quando rivestiva un’importante carica (non ricordo quale), sentendo intorno a sé un po’ di subbuglio critico, ebbe il sangue freddo di affermare: “State tranquilli, sarò io ad andarmene un minuto prima che voi me lo chiediate…”.
Chi non fa così è soggetto a fare bruttissime figure, a danneggiare la propria reputazione e a fare, magari anche in buona fede, un pessimo servizio alla comunità.